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La Cantatina dell’oca persa – Fiabe anziani

Festa grande sl castello de’ Ricci. Cavalieri, dame e donzelle, ben apparecchiati e lustri di ori e di gemme, passeggiano nelle sale e pei cortili e lungo le gallerie del castello, conversando amabilmente di questo e di quello.

È festa perché la bella principessa Rosa dé Ricci va in sposa al giovane principe Lisandro dé Lisci.

Sono liete le madri ed i padri dei due giovani e lieti sono i sudditi nel cantare e danzare perché Rosa va sposa e di questo matrimonio sono tutti contenti.

Tutti, o c’è un’eccezione? O che regola è se non c’è l’eccezione?

Andiamo a vedere cosa sta succedendo giù nelle cucine, dove i cuochi di casa dovrebbero lavorare a gomito ed armonia con quelli giunti al seguito dello sposo.

Accade che le due squadre di cucinieri si fronteggiano armati di padelle. La causa del trambusto è una povera oca che attende il suo destino sul banco di lavoro. Dovrà finire in pentola e poi in tavola, adorna di arance e limoni? O di prugne e pinoli?

-Prugne per guarnire l’oca, villani!

-Arance per accompagnare l’oca, bifolchi!

La pugna è immanente e imminente.

-Arance o battaglia!

-Prugne o battaglia!

E battaglia sia! Son pronti a guerreggiare i bellicosi cucinieri, agitando mestoli, ramazze e matterelli. Tum tututum, bam bam!!!

La grande cucina e la dispensa risuonano dei rumori della zuffa, inconsueti in un luogo più consono alla zuppa.

Noi si sa che l’oca è un animale paziente, molto paziente, e non è di gusti difficili. Per lei, arance o prugne, limoni o pinoli, tutto fa brodo, o meglio, tutto fa arrosto. Si è messa comoda nell’attesa che quei forsennati si ricordino che il loro mestiere è quello di portare in tavola la loro arte come strumento di concordia, e non di discordia. Quasi quasi si farebbe un sonnello quando, si dice la combinazione, da sotto al tavolo le arrivano le note di una canzone accompagnata da una voce in falsetto.

Penzoloni sul bordo del banco vede uno dei garzoni di casa che approfitta della rissa per scolarsi un boccale di Trebbiolo. È un bel ragazzo col ciuffo biondo e l’oca se ne innamora, anche perché la canzone è dedicata a lei.

A lei? Una serenata? Mai successo prima.

Sentiamo cosa propone la canzone del garzone ubriacone

-Questa è la cantatina dell’oca muta in attesa di far la sua figura. Batti la carne o scalco, batti con cura, ch’io risulti morbida e sfiziosa, con fiocchi e nastri più vezzosa, lustrami con gelatina odorosa ch’io sia bella quanto la sposa.

L’oca sospira. Quel romantico giovine ha colpito il suo cuore ed ella è ancora lì, pendula e sognante, quando due dei litiganti l’afferrano, uno per le zampe, l’altro per il collo e se la contendono come fosse un trofeo:

-Arance e limoni!

-Prugne e pinoli!

Lipperlì, contesa da tanti nerboruti giovani, lei si sente come Venere emergente dalle acque. E chi la tira di qua, e chi la tira di là, l’oca che si è fatta ammorbidire dall’amore e dalla vanità scivola dalle mani dei contendenti e come una freccia di Cupido se ne esce dalla finestra verso lidi meno lusinghieri ma più salutari.

Orrore! L’oca è fuggita! E ora? I cuochi delle due fazioni si guardano di sottecchi, col fare di monelli che hanno appena compiuto una grossa marachella, anzi, una maracona.

È l’ora di trovarsi solidali. Un breve dibattito li mette d’accordo. Lesti lavorano verdure, carote, patate dolci. Le lessano, le mischiano, le frullano, le rimpolpettano con uova e farina e cacio in abbondanza. Ed ecco pronta una bell’oca fatta e rifinita, con zampe, becco ed ali ben disegnate.

Un capolavoro, ecco cos’è. E allora, quelli che volevano prugne e pinoli sistemano in letizia arance e limoni, mentre gli altri prugnano e pinolano che è un piacere. E via in cottura. Bevuti come sono gli ospiti, si rassicurano a vicenda, manco si accogano della differenza, quelli di sopra. Magari troveranno la ricetta saporita, originale. Qui ci vuole un nome ad effetto…

Son lì a ponzare nomi quand’ecco uscire, da sotto al tavolo, la voce del garzone ubriacone che propone una nuova versione della sua canzone.

-Questa è la cantatina dell’oca persa che s’è involata e non compare in mensa. Rustica resta e meno melensa senza li trucchi per parer più densa.

-Ecco!

-Ecco?

-Ma si, sarà “L’oca persa.”

Ci crederete se ve lo dico? Io lo dico comunque.

Quando il vassoio è bell’é sistemato e guarnito, i cuochi delle due fazioni si stringono la mano soddisfatti e fissano per dopopranzo una partitina amichevole.

L’oca persa ha fatto un figurone, anche perché, diciamolo, nessuno vuole assumersi la responsabilità di criticare quell’oca di verdura, sapendo di dispiacere agli ospiti. Non sia mai che un litigio tra le due famiglie riporti i novelli sposi alle rispettive magioni.

Il via agli osanna lo dà un signore assai stimato per la raffinatezza del palato e la vocazione alla diplomazia.

-Ma che arrroma orrriginale!

-Stupendo! – grida allora la madre del pricipe. – Voglio, assolutamente voglio, questa ricetta, cara consuocera. I nostri cuochi hanno così poca inventiva…

-Devo dire – risponde la padrona di casa con sussiego – che io esigo dal mio chef la massima cura e immaginazione. Non sopporto piatti spiattelati senza garbo.

Com’è giusto che sia in questi casi, la nostra storia si avvia al lieto fine.

I cuochi furono lodati e premiati e la nostra oca è tornata a razzolare insieme alle compagne. Ha raccontato di quanti giovani la volevano per sé e della serenata del bel garzone dal ciuffo biondo. Insomma, blatera di qui, blatera di là, da quando è innamorata non è più idonea a fare l’oca muta. E poi, anche volendo riproporsi la ventura, quando arriva il cuciniere le più vanitose si precipitano, facendosi lo sgambetto a vicenda.

-Tocca a me!

-No! A me!

E il povero garzone ubriacone? Aveva bevuto troppo e si levò la mattina dopo col mal di testa.