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Salute

IL 5G E I RISCHI PER LA SALUTE UMANA E AMBIENTALE

5G e i rischi per la salute

PROGRESSO TECNOLOGICO A QUALE PREZZO?

Con l’espressione 5G si indica la quinta generazione delle reti mobili che si sta affermando come la tecnologia più avanzata mai resa disponibile per la trasmissione dati.

Il vantaggio del 5G è essenzialmente prestazionale: se la banda di picco che una singola cella LTE (long term evolution, appartenente alla quarta generazione tecnologica) usata dagli operatori di telefonia mobile è oggi pari a 1 Gbps, con le reti 5 G ciascuna cella dovrà sostenere almeno 20 Gbps in downstream e 10 Gbps in upstream. Un’ampiezza di banda che viene quindi significativamente estesa.

Con la frequenza 5G si potrà navigare più rapidamente su internet da smartphone e tablet, e consentirà di creare una rete a cui “ogni cosa” sarà connessa (Internet of Things): si pensi, per esempio, alle auto connesse, alla digitalizzazione delle infrastrutture stradali, alle smart home e a tutte quelle tecnologie emergenti che richiederebbero una costante presenza di una rete a banda larghissima per funzionare; attraverso una velocità di trasmissione dati elevatissima e un tempo di risposta bassissimo (latenza), la velocità 5G migliorerà di gran lunga l’interconnessione di miliardi di persone e di dispositivi.

RADIAZIONI DANNOSE?

Duecento miliardi di oggetti trasmittenti sono previsti entro due anni, milioni di nuove radio-base e 20 mila satelliti in più nello spazio: l’introduzione del 5 G solleva nuovi dubbi sulla sicurezza delle onde elettromagnetiche, avvalorati anche da alcune ricerche.

Che effetto potrebbe aver per la salute umana, per quella degli animali e delle piante, l’inquinamento elettromagnetico che, con l’avvento delle tecnologie di telecomunicazione di quinta generazione, è inevitabilmente destinato ad aumentare?

Quali saranno gli effetti dell’esposizione alle radiofrequenze (Rf) di lunghezza millimetrica utilizzate dalla frequenza 5G ? ma il solo fatto che il loro utilizzo richieda una proliferazione esponenziale delle antenne (l’AgCom, il Garante delle comunicazioni, ha calcolato che ci saranno in Italia circa un milione di dispositivi per kilometro quadrato) lascia facilmente capire che nel giro di pochi anni la ragnatela invisibile in cui siamo immersi sarà sempre più fitta e avvilupperà le città e i suoi abitanti, umani e non.

Come per ogni passo avanti nella storia dell’innovazione, anche in questo caso lo sviluppo tecnologico che renderà il mondo molto più “smart” e interconnesso potrebbe presentare dei lati oscuri che, nel migliore dei casi, non sono ancora stati indagati oppure esistono studi esistenti ma accuratamente INSABBIATI.

Se volete approfondire segnalo due link (in lingua inglese)

https://einarflydal.files.wordpress.com/2018/04/pall-to-eu-on-5g-harm-march-2018.pdf

https://emfhealth.nl/wp-content/uploads/2020/08/influence_of_high_frequency_electromagnetic_radiation_at_non_thermal_intensities.pdf

Secondo alcuni scienziati, nessuna persona, animale o pianta sulla Terra sarà in grado di evitare l’esposizione 24 ore al giorno, 365 giorni all’anno, a livelli di Rf decine o centinaia di volte maggiori a quelli esistenti oggi.

Questi piani minacciano di provocare effetti gravi e irreversibili sugli esseri umani e danni permanenti a tutti gli ecosistemi della Terra.

È per questo che nel settembre 2017, oltre 180 scienziati di 36 Paesi hanno firmato una richiesta all’Unione Europea di moratoria nell’implementazione delle tecnologie 5G per approfondire il problema della loro sicurezza e garantire che il livello totale di radiazioni non sia dannoso per i cittadini e per l’ambiente.

Nella richiesta/avvertimento, gli scienziati sottolineano come gli effetti dannosi dell’esposizione a RF-EMF siano già dimostrati.

Oltre 220 scienziati provenienti da più di 40 paesi hanno espresso le loro “serie preoccupazioni” in merito all’onnipresente e crescente esposizione ai campi elettromagnetici generati da dispositivi elettrici e senza fili già prima dell’ulteriore introduzione del 5G. Essi fanno riferimento al fatto che “numerose pubblicazioni scientifiche recenti hanno dimostrato che i campi elettromagnetici colpiscono gli organismi viventi a livelli ben al di sotto della maggior parte delle linee guida internazionali e nazionali”. Gli effetti includono un aumento del rischio di cancrostress cellulare, aumento dei radicali liberi dannosi, danni genetici, cambiamenti strutturali e funzionali del sistema riproduttivo, deficit di apprendimento e di memoria, disturbi neurologici e impatti negativi sul benessere generale dell’uomo. I danni vanno ben al di là della razza umana, in quanto vi sono prove crescenti di effetti nocivi sia per le piante che per gli animali.

Dopo che l’appello degli scienziati è stato scritto nel 2015, ulteriori ricerche hanno confermato in modo convincente i gravi rischi per la salute derivanti dai campi RF-EMF della tecnologia wireless. Il più grande studio al mondo (25 milioni di dollari USA) del National Toxicology Program (NTP), mostra un aumento statisticamente significativo dell’incidenza del cancro al cervello e al cuore negli animali esposti ai campi elettromagnetici al di sotto delle linee guida dell’ICNIRP (International Commission on Non-Ionizing Radiation Protection) seguite dalla maggior parte dei Paesi.

Questi risultati supportano i risultati di studi epidemiologici sull’uomo per quanto riguarda le radiazioni RF e il rischio di tumore cerebrale. Un gran numero di rapporti scientifici sottoposti a peer-reviewing dimostrano che i campi elettromagnetici danneggiano la salute umana.

Nel 2011 l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC), l’agenzia oncologica dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS), ha concluso che i campi elettromagnetici con frequenze da 30 KHz a 300 GHz possono essere cancerogeni per l’uomo (gruppo 2B).

Tuttavia, nuovi studi come lo studio NTP di cui sopra e diverse indagini epidemiologiche, compresi gli ultimi studi sull’uso dei telefoni cellulari e sui rischi di cancro al cervello, confermano che le radiazioni RF-EMF sono cancerogene per l’uomo.

La Direttiva EUROPA EM-EMF 2016 afferma che “ci sono forti prove che l’esposizione a lungo termine a certi campi elettromagnetici è un fattore di rischio per malattie come alcuni tipi di cancro, il morbo di Alzheimer e l’infertilità maschile.

IPERSENSIBILITA’ ELETTROMAGNETICA

I sintomi comuni di EHS (ipersensibilità elettromagnetica) includono: mal di testa, difficoltà di concentrazione, problemi di sonno, depressione, mancanza di energia, affaticamento e sintomi simil-influenzali”.

Gli scienziati, infine, esortano le autorità europee.

1) Adottare tutte le misure ragionevoli per fermare l’espansione di 5G RF-EMF fino a quando gli scienziati indipendenti possono assicurare che la frequenza 5G e i livelli totali di radiazione causati da RF-EMF (5G insieme a 2G, 3G, 4G e WiFi) non saranno dannosi per i cittadini dell’UE, specialmente neonati, bambini e donne in gravidanza, così come l’ambiente.

2) raccomandare che tutti i paesi dell’UE, in particolare le loro agenzie di radioprotezione, seguano la risoluzione 1815 e informino i cittadini, compresi insegnanti e medici, sui rischi per la salute derivanti dalle radiazioni RF-EMF, su come e perché evitare le comunicazioni senza fili, in particolare in/vicino, ad esempio, centri diurni, scuole, case, luoghi di lavoro, ospedali e assistenza agli anziani.

3) nominare immediatamente, senza l’influenza dell’industria, una task force UE di scienziati indipendenti e veramente imparziali in materia di campi elettromagnetici e salute, senza conflitti di interesse, per rivalutare i rischi per la salute e:

  • Decidere nuovi “standard di esposizione totale massima sicura” per tutte le comunicazioni senza fili all’interno dell’UE.
  • Studiare l’esposizione totale e cumulativa dei cittadini dell’UE.
  • Creare regole che saranno prescritte/applicate all’interno dell’UE su come evitare un’esposizione superiore ai nuovi “standard di esposizione totale massima UE” riguardanti tutti i tipi di CEM al fine di proteggere i cittadini, in particolare i neonati, i bambini e le donne in gravidanza.

4) Impedire che l’industria della telefonia senza fili attraverso le sue organizzazioni di lobbying persuada i funzionari dell’UE a prendere decisioni su un’ulteriore propagazione delle radiazioni RF, compresa la 5G in Europa.

5) Favorire e implementare le telecomunicazioni digitali cablate invece che quelle senza fili.

I possibili effetti delle onde elettromagnetiche sul corpo umano si distinguono in effetti termici, misurati in termini di potenza assorbita per unità di massa (W/kg), e in effetti più specifici che si possono manifestare a livello cellulare o molecolare.

Lo stesso Istituto superiore di sanità (ISS), dal suo sito, indica come i fenomeni relativi agli effetti specifici non siano stati ancora completamente chiariti, motivo per cui l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), l’Unione europea e numerose organizzazioni internazionali continuano a promuovere studi specifici e comparativi.

I limiti di esposizione sviluppati dall’Intemational commission on non-ionizing radiation protection (Icnirp) sono stati recepiti dalla raccomandazione del Consiglio europeo 1999/519/CE per quel che riguarda la protezione della popolazione e dalla direttiva 2004/40/CE per quanto riguarda la protezione dei lavoratori. In Italia, i limiti di esposizione negli edifici in cui si permane non meno di quattro ore al giorno (tra cui le abitazioni) sono normati dal Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 8 luglio 2003 (Fissazione dei limiti di esposizione, dei valori di attenzione e degli obiettivi di qualità per la protezione della popolazione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici generati a frequenze comprese tra 100 kHz e 300 GHz”), che stabilisce un valore di attenzione di 6 V/m.

Il decreto legge 179/2012 (convertito con modificazioni nella legge 221/12) ha poi stabilito che tale valore venga calcolato come media su 24 ore. Quest’ultima disposizione potrebbe però creare una sottostima delle esposizioni reali durante il giorno, quando il traffico telefonico è più elevato.

Le radiofrequenze usate per il 5G non sono in grado di superare le barriere solide, come i muri, e proprio questo è il motivo alla base del previsto proliferare del numero di antenne. In teoria, l’assorbimento da parte del corpo umano dovrebbe essere limitato allo strato esterno dell’epidermide, ma non sono ancora disponibili dati precisi in tal senso.

Il rischio, secondo gli esperti, è che la fitta ragnatela di onde elettromagnetiche possa cambiare la configurazione elettromagnetica dell’ambiente in cui viviamo, con effetti tutti da determinare.

Secondo la classificazione dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS), le onde a radiofrequenza sono possibili cancerogeni, per i quali è l’Europa stessa a chiedere ai singoli governi l’adozione di un principio di precauzione, che però sembra non si stia adottando nella pratica, visto il continuo espandersi di queste tecnologie in maniera globale.

DANNI DA RADIAZIONI

Diversi studi di laboratorio – tra cui quello dell’Istituto Ramazzini, condotto tra il 2005 e il 2017 – hanno rafforzato la relazione di rischio tra l’esposizione ai telefonini e alcuni tumori (come glioma, meningioma, schwannoma), mentre altri indicano che le onde elettromagnetiche interagiscono anche con la produzione di una serie di proteine ed enzimi e con il metabolismo del calcio, mentre sembra che poche incertezze vi siano per una serie di altri problemi come la fertilità, soprattutto maschile, e le conseguenze sul neurosviluppo dei bambini.

Ci sono recentissime evidenze che hanno registrato persino alterazioni anatomiche e studi che hanno documentato nei bambini alterazioni metaboliche. Il problema vero dei nostri tempi non è quindi solo il cancro, ma anche la sempre maggior insorgenza di malattie croniche degenerative rispetto al passato in tutte le popolazioni umane.

Presentazione cibo e malattie degenerative

Di seguito sono riportati i riassunti delle revisioni della ricerca sugli effetti dell’esposizione a MMW e un elenco di studi pubblicati di recente.
Recensioni di ricerca sulle onde millimetriche
(Aggiornato il 1 giugno 2021)
Martin L Pall. Le onde millimetriche (MM) e le radiazioni a microonde producono effetti profondamente penetranti: la biologia e la fisica. Rev Ambiente Salute. 2021 maggio 26. doi: 10.1515/reveh-2020-0165.

 Astratto

Si prevede che i campi elettromagnetici (EMF) delle onde millimetriche (onde MM) non producano effetti penetranti nel corpo. La parte elettrica ma non magnetica degli MM-EMF è quasi completamente assorbita all’interno dell’1 mm esterno del corpo. Si dice che i roditori abbiano impatti penetranti delle onde MM su cervello, miocardio, fegato, reni e midollo osseo. Le onde MM producono cambiamenti simili alla sensibilità elettromagnetica nei tessuti dei roditori, delle rane e dei pattini. Negli esseri umani, le onde MM hanno effetti penetranti tra cui impatti sul cervello, producendo cambiamenti EEG e altri cambiamenti neurologici/neuropsichiatrici, aumenti dell’apparente ipersensibilità elettromagnetica e producono cambiamenti sulle ulcere e sull’attività cardiaca. Questa recensione si concentra su diverse questioni necessarie per comprendere gli effetti penetranti delle onde MM e delle microonde:

1. I campi elettromagnetici generati elettronicamente sono coerenti, producendo forze elettriche e magnetiche molto più elevate rispetto a campi elettromagnetici incoerenti naturali. 

2. La relazione fissa tra campi elettrici e magnetici riscontrata nei campi elettromagnetici nel vuoto o in un mezzo altamente permeabile come l’aria, prevista dalle equazioni di Maxwell, si rompe in altri materiali. Nello specifico, i campi elettrici delle onde MM sono quasi completamente assorbiti nell’1 mm esterno del corpo a causa dell’elevata costante dielettrica delle fasi acquose biologiche. Tuttavia, i campi magnetici sono molto penetranti. 

3. I campi magnetici variabili nel tempo hanno un ruolo centrale nella produzione di effetti altamente penetranti. Il meccanismo principale dell’azione dei campi elettromagnetici è l’attivazione del canale del calcio voltaggio-dipendente (VGCC) con i campi elettromagnetici che agiscono tramite le loro forze sul sensore di tensione, piuttosto che per depolarizzazione della membrana plasmatica. Due meccanismi distinti, un meccanismo indiretto e uno diretto, sono coerenti e previsti dalla fisica, per spiegare l’attivazione VGCC dell’onda MM penetrante tramite il sensore di tensione. Campi magnetici coerenti variabili nel tempo, come previsto dalla versione Maxwell-Faraday della legge di induzione di Faraday, possono esercitare forze sugli ioni disciolti in fasi acquose in profondità all’interno del corpo, rigenerando campi elettrici coerenti che attivano il sensore di tensione VGCC. Inoltre, i campi magnetici variabili nel tempo possono esercitare direttamente delle forze sulle 20 cariche nel sensore di tensione VGCC. Ci sono tre risultati molto importanti qui che sono raramente riconosciuti nella letteratura scientifica sui campi elettromagnetici: coerenza dei campi elettromagnetici generati elettronicamente; il ruolo chiave dei campi magnetici variabili nel tempo nel generare effetti altamente penetranti; il ruolo chiave degli impulsi EMF sia modulanti che puri nell’aumentare notevolmente la variazione temporale ad alto livello a brevissimo termine dei campi magnetici ed elettrici. È probabile che le autentiche linee guida sulla sicurezza debbano mantenere la variazione temporale di nanosecondi dei campi elettrici e magnetici coerenti al di sotto di un livello massimo al fine di produrre una vera sicurezza. Questi risultati hanno importanti implicazioni per quanto riguarda le radiazioni 5G.
https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/34043892/

Giobbe 11:7 – Puoi forse scandagliare le profondità di Dio,
arrivare a conoscere appieno l’Onnipotente?

La cecità dell’essere umano e l’incapacità della “scienza” da lui stesso creata ci hanno impedito di osservare la Natura e la sua perfezione. 

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Alimentazione per Anziani

INTEGRATORI

QUALI INTEGRAZIONI SERVONO AGLI ANZIANI?

Gli anziani spesso mangiano poche proteine......ecco come rimediare. |  Farmacia Malpezzi

Le evidenze scientifiche dimostrano che gli anziani hanno bisogno di un maggior apporto di proteine ​​con la dieta al fine di mantenere lo stato di salute, promuovere il recupero dalla malattia e preservare la funzionalità fisica.  E’ noto da tempo che il trofismo muscolare è strettamente legato all’apporto di proteine, per le loro capacità di esercitare precisi “effetti “

L’anabolismo muscolare nell’anziano, a parità di proteine introdotte, è ormai dimostrato  dipendere:

  1. dalla combinazione delle proteine alimentari con altri nutrienti (soprattutto glucidi/carboidrati) nel medesimo pasto;
  2. dal momento di consumo delle proteine in relazione alla attività motoria / sportiva o alla seduta di riabilitazione;
  3. dalla loro composizione amminoacidica ( qualità proteica);
  4. dalla rapidità di assorbimento dalle proteine utilizzate.

Un gruppo di studio, raccomanda nell’anziano l’assunzione giornaliera media di 1,0 – 1,2 grammi di proteine ​​per chilogrammo di peso corporeo al giorno. Le persone anziane con grave malattia renale (GFR stimato <30 ml / min / 1,73m2), ma che non sono in dialisi, sono un’eccezione a questa regola; questi individui potrebbero dover limitare l’assunzione di proteine. Il raggiungimento del quantitativo proteico può avvenire sia aumentando il consumo di alimenti proteici, sia attraverso l’utilizzo di supplementi. a base di proteine, aminoacidi essenziali e non o singoli aminoacidi. Tali preparati, sotto forma di polvere, compresse o liquidi, sono particolarmente utili nel periodo post allenamento riabilitativo, momento in cui l’introduzione di proteine e carboidrati a rapido assorbimento è maggiormente efficace ai fini del trofismo muscolare.

Frutta e verdura di stagione a Dicembre: guida utile

Frutta e verdura hanno l’80% in meno di vitamine e minerali rispetto a 30 anni fa

Gli scienziati confermano: la frutta e verdura che mangiamo ha perso quasi tutti i suoi nutrienti a causa delle ibridizzazioni delle specie, l’impoverimento dei terreni, lunga conservazione e l’inquinamento atmosferico. Si è arricchita invece di metalli pesanti.

dovremmo mangiarne almeno 7 volte tanto per ottenere le stesse vitamine e minerali che assumevano i nostri genitori e i nostri nonni, dovremmo mangiarne almeno 7 volte tanto per ottenere le stesse vitamine e minerali che assumevano i nostri genitori e i nostri nonni.

I valori di vitamine e minerali nel 1950 e nel 1999

Il Dr. Donald Davis, un ex ricercatore presso l’Istituto Biochimica presso l’Università del Texas, Austin, ha guidato un team che ha analizzato 43 tipi di frutta e verdura confrontando i valori di vitamine e minerali nel 1950 e nel 1999. Il calo più sostanziale riguarda calcio, proteine, vitamina C, fosforo, ferro e riboflavina. «Hanno avuto un crollo medio del 40%» afferma il ricercatore.  Ad esempio 100 gr di broccoli che nel 1950 contenevano 130 mg di calcio nel 1999 quel valore è sceso a 48 mg.

Non accusiamo semplicemente la dieta moderna delle malattie in crescita esponenziale della nostra epocauna carenza di vitamine e minerali può innescare ogni serie di disturbi ed aumentare la mortalità, ed oggi è sempre più difficile assimilare questi nutrienti preziosi.  

Già 30 anni fa la sola dieta sarebbe stata sufficiente a fornire un adeguato apporto vitaminico: ecco perché i nostri avi riuscivano a lavorare nei campi tutto il giorno senza mangiare molto ed erano più forti. Oggi invece, il cibo si è impoverito dei micronutrienti necessari per mantenere uno stato di salute ottimale.

Un’analisi del Kushi Institute dei nutrienti nel periodo 1975-1997 ha trovato che i livelli medi di calcio in 12 verdure fresche è sceso del 27%; i livelli di ferro 37%; i livelli di vitamina A il 21%, e livelli di vitamina C del 30%.

Un analogo studio britannico dei nutrienti nella frutta e verdura nel periodo 1930-1980, pubblicato sul British Food Journal, ha scoperto che in 20 verdure il contenuto medio di calcio era diminuito del 19%; ferro 22%; e potassio 14%.

Ancora un altro studio ha concluso che si dovrebbero mangiare oggi otto arance per ricavare la stessa quantità di vitamina A  e C che i nostri nonni avrebbero ottenuto da una.

Una ricerca eseguita in Germania dal Prof. Liesen di Monaco, sono state effettuate analisi su campioni di vegetali, ). I dati riportano le differenze nutrizionali nell’arco di circa dieci anni (1985-1996) nel contenuto di calcio, acido folico, magnesio, vitamina C e vitamina B in alcuni frutti e verdure espresse in mg.

Gli scienziati confermano: la frutta e verdura che mangiamo ha perso quasi tutti i suoi nutrienti a causa delle ibridizzazioni delle specie, l’impoverimento dei terreni, lunga conservazione e l’inquinamento atmosferico. Si è arricchita invece di metalli pesanti.

Come rimediare?

  • Acquista biologico o non trattato
  • Scegli la frutta e verdura più piccola
  • Bere molti estratti di frutta freschi fatti in casa è un modo per consumarne un grande quantità assumendo tutti i nutrienti eccetto le fibre
  • Assumi integratori vitaminici.

PER ULTIMO MA NON MENO IMPORTANTE.

Attenzione ai grassi.

Princìpi nutritivi o nutrienti o sostanze nutritive - Mind42: Free online  mind mapping software

https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/23867520/

Questo articolo ha solo fine illustrativo e non sostituisce il parere del medico. Non è destinato a fornire consigli medici, diagnosi o trattamento.

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Curiosità

10 COMANDAMENTI

Esodo - 20

I dieci comandamenti secondo la Bibbia e le alterazioni presenti nel catechismo Cattolico Romano

Prima di leggere il testo dei dieci comandamenti riportati nella Sacra Bibbia, occorre precisare alcune cose molto importanti. Dalla Bibbia, sappiamo che l’osservanza dei comandamenti di Dio è un dovere di tutti i credenti, e che tramite la loro osservanza ci si fa un tesoro nel cielo. Questo tesoro, però, non è la vita eterna, perché essa è il DONO di Dio. Quindi mediante la fede, dopo essersi ravveduti, si ottiene la remissione dei peccati e la vita eterna, e mediante l’osservanza dei precetti di Dio ci si fa un tesoro nel cielo

Per fare un esempio pratico, credendo in Cristo si viene salvati dal peccato e dall’inferno, mentre dando elemosine ai poveri, aiutando le vedove e gli orfani, visitando gli ammalati, non rendendo male per male, ecc. ci si fa un premio in cielo che in quel giorno Dio farà conoscere a ciascuno di noi. Più abbiamo lavorato al bene del nostro prossimo e più grande sarà il premio.

LA SALVEZZA DELL’ANIMA E’  PER GRAZIA


La SALVEZZA DELL’ANIMA non possiamo in alcun modo ottenerla per meriti personali o attraverso il battesimo, la preghiera, le elemosine, ecc.

La Bibbia dichiara: “Infatti è per grazia che siete stati salvati, mediante la fede; e ciò non viene da voi; è il dono di Dio. Non è in virtù di opere affinché nessuno se ne vanti” (Efesini 2:8).“L’uomo non è giustificato per le opere della legge ma soltanto per mezzo della fede in Cristo Gesù” (Galati 2:16).Siamo dunque stati salvati solo per fede, per seguire il Signore, e “per fare le opere buone, che Dio ha precedentemente preparate affinché le pratichiamo” (Efesini 2:10).

I dieci comandamenti nel catechismo cattolico

Uno sguardo ai dieci comandamenti riportati nel catechismo cattolico Poche persone sanno che sebbene i comandamenti insegnati nella Sacra Bibbia sono dieci, quelli insegnati nel Catechismo della Chiesa Cattolica sono in realtà soltanto nove!

Il secondo, infatti, è stato letteralmente cancellato, e dal decimo ne hanno ricavato due “pezzi”, per coprire il vuoto del secondo. Così, ora il secondo è in realtà il terzo, il terzo è il quarto, e così via.

Vediamo ora i “dieci” comandamenti secondo il Catechismo cattolico (dal Catechismo di S. Pio X, per la preparazione ai sacramenti).

Io sono il Signore Dio tuo:
1. Non avrai altro Dio fuori di me.
2. Non nominare il nome di Dio invano.
3. Ricordati di santificare le feste *.
4. Onora il padre e la madre.
5. Non uccidere.
6. Non commettere atti impuri.
7. Non rubare.
8. Non dire falsa testimonianza.
9. Non desiderare la donna d’altri.
10. Non desiderare la roba d’altri.

[* Nota sul terzo comandamento – La Bibbia non dice “le feste”, ma “il giorno del riposo”, “il settimo”]

Ora vediamo i dieci comandamenti SECONDO LA SACRA BIBBIA, la Parola di Dio. 

Esodo 20:2-17 / Deuteronomio 5:6-21

1) “Io sono il Signore, il tuo Dio, che ti ho fatto uscire dal paese d’Egitto, dalla casa di schiavitù. Non avere altri dèi oltre a me.

2)Non farti scultura, né immagine alcuna delle cose che sono lassù nel cielo o quaggiù sulla terra o nelle acque sotto la terra. Non ti prostrare davanti a loro e non li servire, perché io, il Signore, il tuo Dio, sono un Dio geloso; punisco l’iniquità dei padri sui figli fino alla terza e alla quarta generazione di quelli che mi odiano, e uso bontà fino alla millesima generazione, verso quelli che mi amano e osservano i miei comandamenti.

3) Non pronunciare il nome del Signore, Dio tuo, invano; perché il Signore non riterrà innocente chi pronuncia il suo nome invano.

4) Ricordati del giorno del riposo per santificarlo. Lavora sei giorni e fa’ tutto il tuo lavoro, ma il settimo è giorno di riposo, consacrato al Signore Dio tuo.

5) Onora tuo padre e tua madre, affinché i tuoi giorni siano prolungati sulla terra che il Signore, il tuo Dio, ti dà.

6) Non uccidere.

7) Non commettere adulterio.

8) Non rubare.

9) Non attestare il falso contro il tuo prossimo.

10)Non desiderare la casa del tuo prossimo; non desiderare la moglie del tuo prossimo, né il suo servo, né la sua serva, né il suo bue, né il suo asino, né cosa alcuna del tuo prossimo

Per quale motivo la Chiesa Cattolica Romana ha alterato i comandamenti?

Vi chiederete per quale motivo la Chiesa Cattolica Romana ha alterato i comandamenti e ha cancellato il secondo. Alcuni sacerdoti cattolici si giustificano dicendo che il secondo comandamento era solo per gli Ebrei (il che non è vero, poiché insieme agli altri nove comandamenti, dati anch’essi agli Ebrei, esso è Parola di Dio ed è un comando rivolto a tutti gli uomini senza distinzioni, e inoltre Dio condanna severamente qualunque aggiunta o cancellazione alla Sua Parola).Un altro sacerdote ha risposto che in realtà, alcuni fanno una divisione tra il primo e il secondo comandamento, e però uniscono il nono e il decimo, mentre altri uniscono il primo e il secondo, e separano il nono e il decimo. Naturalmente una tale risposta è un’offesa anche al meno istruito degli esseri umani. Un altro ancora, negando apertamente la realtà, è arrivato ad affermare che la Chiesa Cattolica non ha cambiato i comandamenti, ma che siamo noi che non sappiamo leggere. La realtà dei fatti è che se non avesse tolto il secondo comandamento, la chiesa cattolica romana non avrebbe potuto più riempire le chiesa e santuari di statue ed immagini della “madonna” e dei cosiddetti santi, insegnando i fedeli a venerarle, il che è IDOLATRIA (Dio condanna sia l’adorazione – “non li servire” – che la venerazione – “non ti prostrerai davanti a loro” – di vivi, morti, oggetti e immagini.

La Scrittura dice: 

(Matteo 4:10)

A Lui solo rendi il tuo culto”

Come avrebbero potuto giustificare una tale trasgressione del secondo comandamento? Così, “hanno tolto la legge, e il reato non c’è più”.

In Deuteronomio 4:2,

Dio avverte:“Non aggiungerete nulla a ciò che io vi comando e non ne toglierete nulla; ma osserverete i comandi del Signore Dio vostro che io vi prescrivo” (Deut. 4:2)

Come avete potuto constatare, le differenze tra la Sacra Bibbia e il Catechismo della Chiesa Cattolica sono di vitale importanza.

Le manomissioni degli insegnamenti delle Sacre Scritture (Sacra Bibbia) sono inammissibili per Dio.

Luca 4:18

«Lo Spirito del Signore è sopra di me,
perciò mi ha unto per evangelizzare i poveri; (poveri di Spirito)
mi ha mandato per annunciare la liberazione ai prigionieri (liberazione spirituale)
e il ricupero della vista ai ciechi; (verità occultata)
per rimettere in libertà gli oppressi.

L’IDOLATRIA E’ UN PECCATO

Appare in 4 versetti della BIBBIA:

Ezechiele 23:49

La vostra scelleratezza vi sarà fatta ricadere addosso,
voi porterete la pena della vostra idolatria,
e conoscerete che io sono il Signore, DIO”».

Ez 23:49 in tutte le versioni Mostra capitolo

1Corinzi 10:14

La santa Cena contrapposta agli altari pagani
Es 20:4-52Co 6:14-18Ap 2:14
Perciò, miei cari, fuggite l’idolatria.

1Co 10:14 in tutte le versioni Mostra capitolo

Galati 5:20

idolatria, stregoneria, inimicizie, discordia, gelosia, ire, contese, divisioni, sètte,

Ga 5:20 in tutte le versioni Mostra capitolo

Colossesi 3:5

Ef 5:3-8; 4:17-312Co 5:17 (Ef 4:1-2, 32; 5:1-2)(Ef 4:3-4; 5:19-20)
Fate dunque morire ciò che in voi è terreno: fornicazione, impurità, passioni, desideri cattivi e cupidigia, che è idolatria.

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Curiosità

RICERCHE CORONAVIRUS

https://www.camera.it/leg18/1132?shadow_primapagina=12421

Video del 25 Maggio 2021 – Camera di Deputati – Parlamento italiano

Questo è il link della ricerca del Salk Institute a cui si riferisce Sara Cunial che esponeva due giorni fa alla commissione Governo :

https://telegra.ph/Il-documento-scientifico-BOMBA-del-Salk-Institute-rivela-che-la-proteina-Spike-Covid-%C3%A8-ci%C3%B2-che-causa-coaguli-di-sangue-mortali—05-18

Il documento scientifico BOMBA del Salk Institute rivela che la proteina Spike Covid è ciò che causa coaguli di sangue mortali … ed è in tutti i vaccini Covid (progettato cosi)

Salk Institute: La proteina spike “danneggia le cellule” e causa “malattie vascolari” anche senza un virus

Ictus, attacchi di cuore , emicranie, coaguli di sangue

Il prestigioso Salk Institute, fondato dal pioniere dei vaccini Jonas Salk, ha scritto e pubblicato un articolo scientifico bomba che rivela che la proteina spike SARS-CoV-2 è ciò che sta effettivamente causando danni vascolari in pazienti covid e ai destinatari dei vaccini covid, promuovendo ictus, attacchi di cuore , emicranie, coaguli di sangue e altre reazioni dannose che hanno già ucciso migliaia di americani (fonte: VAERS.hhs.gov). Fondamentalmente, tutti e quattro i marchi di vaccini covid attualmente in uso diffuso iniettano ai pazienti la proteina spike o, tramite la tecnologia mRNA, istruiscono il corpo del paziente a produrre proteine ​​spike e rilasciarle nel proprio sangue.

  • Questo inonda il corpo del paziente con la stessa proteina spike che il Salk Institute ha ora identificato come la causa primaria del danno vascolare e degli eventi correlati (come i coaguli di sangue, che stanno uccidendo molte persone che prendono i vaccini).

In parole povere, significa che i vaccini sono stati progettati per contenere proprio l’elemento che sta uccidendo le persone. Il falso presupposto dell’industria dei vaccini e dei suoi propagandisti è che la proteina spike sia “inerte” e innocua. Il Salk Institute dimostra che questa ipotesi è pericolosamente inesatta.

In un articolo intitolato La proteina spike del coronavirus gioca un ruolo chiave aggiuntivo nella malattia, pubblicato il 30 aprile 2021, il Salk Institute avverte che “i ricercatori e collaboratori di Salk mostrano come la proteina danneggia le cellule, confermando COVID-19 come una malattia principalmente vascolare “.

Da quell’articolo:

“Ora, un nuovo importante studio mostra che le proteine ​​del picco del virus (che si comportano in modo molto diverso da quelle codificate in modo sicuro dai vaccini) svolgono anche un ruolo chiave nella malattia stessa. Il documento, pubblicato il 30 aprile 2021, su Circulation Research, mostra anche in modo conclusivo che COVID-19 è una malattia vascolare, dimostrando esattamente come il virus SARS-CoV-2 danneggia e attacca il sistema vascolare a livello cellulare. “Molte persone la considerano una malattia respiratoria, ma in realtà è una malattia vascolare”, afferma l’assistente professore di ricerca Uri Manor, co-autore senior dello studio. “Questo potrebbe spiegare perché alcune persone hanno ictus e perché alcune persone hanno problemi in altre parti del corpo. La cosa in comune tra loro è che hanno tutti basi vascolari”.

Il documento fornisce una chiara conferma e una spiegazione dettagliata del meccanismo attraverso il quale la proteina danneggia per la prima volta le cellule vascolari. Nel nuovo studio, i ricercatori hanno creato uno “pseudovirus” circondato dalla classica corona di proteine ​​spike SARS-CoV-2, ma che non conteneva alcun virus effettivo. L’esposizione a questo pseudovirus ha provocato danni ai polmoni e alle arterie di un modello animale, dimostrando che la sola proteina spike era sufficiente a causare la malattia. I campioni di tessuto hanno mostrato infiammazione nelle cellule endoteliali che rivestono le pareti delle arterie polmonari. Il team ha quindi replicato questo processo in laboratorio, esponendo cellule endoteliali sane (che rivestono le arterie) alla proteina spike.

Hanno dimostrato che la proteina spike danneggiava le cellule legando ACE2.

Questo legame ha interrotto la segnalazione molecolare di ACE2 ai mitocondri (organelli che generano energia per le cellule), provocando il danneggiamento e la frammentazione dei mitocondri.

  • Studi precedenti hanno mostrato un effetto simile quando le cellule sono state esposte al virus SARS-CoV-2, ma questo è il primo studio a dimostrare che il danno si verifica quando le cellule sono esposte alla proteina spike da sole.

“Se rimuovi le capacità di replicazione del virus, ha ancora un effetto dannoso importante sulle cellule vascolari, semplicemente in virtù della sua capacità di legarsi a questo recettore ACE2, il recettore della proteina S, ora famosa grazie al COVID”, spiega Manor .

“Ulteriori studi con proteine ​​spike mutanti forniranno anche nuove informazioni sull’infettività e la gravità dei virus mutanti della SARS CoV-2”.

L’articolo non menziona che i vaccini covid-19 iniettano nei pazienti la stessa proteina spike studiata, ma questo fatto è ampiamente noto e persino propagandato dall’industria dei vaccini. Il risultato di questa ricerca è che i vaccini Covid inducono malattie vascolari e causano direttamente lesioni e decessi dovuti a coaguli di sangue e altre reazioni vascolari. Tutto questo è causato dalla proteina spike che è stata deliberatamente ingegnerizzata nei vaccini.

Dalla rivista medica Circulation Research: La proteina spike è ciò che sta causando il danno.

L’articolo del Salk Institute fa riferimento a questo documento scientifico pubblicato su Circulation Research: SARS-CoV-2 Spike Protein Impairs Endotelial Function via Downregulation of ACE 2.

  • Questo articolo è il primo a documentare il meccanismo con cui le proteine spike, anche quelle prive di un attivo componente virale – causano la distruzione vascolare legandosi ai recettori ACE2 e inibendo la funzione dei mitocondri cellulari.

Dall’articolo: la proteina SARS-CoV-1 [Spike] promuove il danno polmonare diminuendo il livello di ACE2 nei polmoni infetti. In questo studio, dimostriamo che la proteina S da sola può danneggiare le cellule endoteliali vascolari (EC) sottoregolando ACE2 e inibendo di conseguenza la funzione mitocondriale.

Abbiamo poi studiato l’impatto della proteina S sulla funzione mitocondriale. Le immagini confocali di EC trattate con proteina S1 hanno rivelato un aumento della frammentazione mitocondriale, indicando una dinamica mitocondriale alterata …

Inoltre, la sovraespressione di ACE2-L ha causato un aumento del:

  • tasso di acidificazione basale*
  • glicolisi indotta da glucosio*
  • capacità glicolitica massima*
  • riserva glicolitica*

* Il profilo mitocondriale generato fornisce quattro parametri della funzione mitocondriale, che può essere misurata in un esperimento: frequenza respiratoria basale, ATP-linked respirazione, perdita protonica, e la c La capacità di misurare il metabolismo cellulare e comprendere la disfunzione mitocondrialeapacità di riserva. La capacità di misurare il metabolismo cellulare e comprendere la disfunzione mitocondriale, ha permesso agli scienziati di tutto il mondo per promuovere la loro ricerca nella comprensione del ruolo della funzione mitocondriale nell’obesità, tossicità diabete, invecchiamento, il cancro, la funzione cardiovascolare e sicurezza.

Metabolismo cellulare è il processo di assorbimento di substrato, come l’ossigeno, glucosio, acidi grassi, e glutammina, e conversione di energia attraverso una serie successiva di ossidazione enzimatica controllata e reazioni di riduzione. 

Inoltre, le EC (cellule endoteliali vascolari)  incubate con la proteina S1 avevano

  • una funzione mitocondriale attenuata ma
  • una glicolisi aumentata, rispetto alle cellule di controllo trattate con IgG

 I nostri dati rivelano che la proteina S da sola può danneggiare l’endotelio, manifestato da una funzione mitocondriale compromessa e dall’attività dell’Ossido Nitrico ma aumentata glicolisi.

Sembra che la proteina Spike  nelle EC (cellule endoteliali vascolari)   

  1. aumenta lo stress redox che può portare alla
  2. disattivazione di AMPK (Proteina chinasi attivata da AMP o AMPK o 5′ Proteina chinasi attivata da adenosina monofosfato è un enzima che svolge un ruolo nell’omeostasi dell’energia cellulare, in gran parte per attivare l’assorbimento e l’ossidazione del glucosio e degli acidi grassi quando l’energia cellulare è bassa.)
  3. alla sovraregolazione di MDM2 (Proteina – Mdm2 è il nome sia del gene che della corrispettiva proteina che svolge la funzione di principale inibitore di p53, andandosi a legare ad esso ed inducendone l’ubiquitinazione e quindi la degradazione tramite proteosoma. Mdm2 appartiene pertanto alla famiglia delle ligasi E3.) e, infine, alla
  4. destabilizzazione di ACE2. Lo studio, ovviamente scritto da un’organizzazione pro-vaccino, afferma poi che “gli anticorpi generati dalla vaccinazione” possono proteggere il corpo dalla proteina spike.

Pertanto, l’articolo sta essenzialmente dicendo (parafrasato):

“La proteina spike può causare enormi danni al sistema vascolare quando a una persona viene iniettata quella proteina spike e quando il sistema immunitario di quella persona attacca la proteina spike e la neutralizza, il danno può essere fermato.”

In altre parole, il sistema immunitario umano sta cercando di proteggere il paziente dai danni causati dal vaccino, prima che il paziente venga ucciso dalle reazioni avverse. In altre parole, qualsiasi persona che sopravvive effettivamente al vaccino covid lo fa solo perché il suo sistema immunitario innato le protegge dal vaccino, non con il vaccino.

Il vaccino è l’arma. Il sistema immunitario è la tua difesa.

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Lattoferrina

Cos’è

La lattoferrina, anche detta lactoferrina o lattotransferrina, è un glicoproteina prodotta soprattutto dalla ghiandola mammaria dei mammiferi e quindi presente nel latte materno e in quello animale.

E’ particolarmente abbondante nel colostro rispetto al latte maturo della fase successiva, per questo è estremamente importante l’allattamento al seno soprattutto nelle fasi iniziali di crescita del bambino.

LATTOFERRINA COME AGENTE TERAPEUTICO NELLE INFEZIONI UROGENITALI. - PDF  Free Download

La sua principale funzione è di colonizzare le mucose nel bambino così da renderlo più protetto. La Lattoferrina è la principale difesa per le infezioni batteriche e virali nei bambini (e non solo) perché è in grado di stimolare in questi una risposta immunitaria innata.

lactoferrina o lattoferrina

In piccole quantità, la lattoferrina viene prodotta anche dai neutrofili (cellule del sistema immunitario) e dalle ghiandole lacrimali e salivari pertanto possiamo trovarla anche in saliva e lacrime.

Dal punto di vista strutturale, si tratta di una glicoproteina, costituita per il 3 % da zuccheri come il mannosio e il fruttosio. Il lattosio non è presente nella struttura chimica della lattoferrina, pertanto può essere assunta tranquillamente anche dai soggetti che presentano intolleranza a tale zucchero.

Anche chi presenta allergia alle proteine del latte può assumere la lattoferrina: l’allergia, infatti, è verso altre proteine ossia le caseine, l’alfa-lattoalbumina e la beta-lattoglobulina.

Funzioni

La lattoferrina è una glicoproteina coinvolta è principalmente nella regolazione dell’omeostasi del ferro. La sua funzione principale, infatti, è di legare il ferro e trasportarlo nel plasma. Ogni molecola è’ in grado di trasportare fino a 2 ioni ferrici (Fe3+).

La Lattoferrina ed il suo significato nella difesa contro le infezioni e  l'infiammazione estrema - Istituto Medicina Biologica
  • La capacità della lattoferrina di legare il ferro la rende una potente molecola antimicrobica e antiossidante:
  • il ferro è uno dei principali nutrienti che i batteri utilizzano per riprodursi e crescere.
  • La lattoferrina, legando il ferro e sottraendolo quindi ai batteri, nei impedisce la moltiplicazione.
  • il ferro è un minerale che in eccesso può agire come pro-ossidante. La lattoferrina, sequestrando il ferro in eccesso, impedisce che da esso si generino specie reattive dell’ossigeno (mediante la reazione di Fenton).
  • Oltre alla sua capacità di legare il ferro, la lattoferrina esercita un’azione antibatterica e antivirale legandosi alla superficie dei microrganismi inibendo la loro adesione e il loro ingresso nelle cellule dell’ospite.
  • Ha proprietà antimicrobiche anche perché stimola nell’ospite la crescita dei bifidobatteri (buona flora intestinale) e l’attività di cellule del sistema immunitario, soprattutto Natural Killer e neutrofili.

Grazie al suo coinvolgimento nella regolazione dell’omeostasi del ferro, studi clinici hanno mostrato che la lattoferrina è utile nel trattamento dell’anemia in quanto è in grado di migliorare parametri ematologici come il numero dei globuli rossi, l’emoglobina, il ferro sierico totale, la ferritina e l’ematocrito.

Il trattamento dell’anemia con lattoferrina risulta essere più sicuro e con meno effetti collaterali rispetto alla classica terapia con ferro.

Lattoferrina e oncologia

Nel campo dell’oncologia la lattoferrina sta riscuotendo notevoli successi. Un esempio è stato lo studio effettuato in Giappone dalla Divisione di Patologia Sperimentale del National Cancer Center Research Institute di Tokio.

In questi studi sperimentali, la lattoferrina bovina (BLF), è stata trovata capace di inibire significativamente i tumori del colon, dell’esofago, del polmone, della vescica e la cancerogenesi nei ratti, quando somministrata per via orale. Inoltre, la somministrazione concomitante con agenti cancerogeni ha provocato una inibizione della carcinogenesi del colon.

E’ in grado di potenziare l’attività degli enzimi di fase II, come il glutatione S-transferasi, e potrebbe avere svolto un ruolo critico nella fase di post-soppressione in uno studio di carcinogenesi della lingua.

Effetti anti-metastatici sono stati inoltre rilevati quando la lattoferrina è stata data oralmente ai topi recanti carcinoma del colon altamente metastatico, con evidente miglioramento in materia di immunità locale e sistemica.

E’ stato trovato un notevole aumento del numero di linfociti T citotossici e delle cellule NK a livello della mucosa del piccolo intestino e le cellule del sangue periferico e questo a sua volta, ha fatto aumentare la produzione di interleuchina 18 (IL-18) e caspasi-1 nelle cellule epiteliali della l’intestino tenue, con possibile conseguente induzione di interferone (IFN)-gamma cellule positive. 

In un altro studio viene mostrata l’efficacia della lattoferrina in modelli di tumori multipli: in primo luogo è stato dimostrato che dosi farmacologiche di lattoferrina aumentano la IL-18 nell’intestino (775%, P <0,0001) e nel siero (132%, P = 0.0007). La IL-18, una citochina immunostimolante Th1 è nota per migliorare la citotossicità cellulo-mediata immunitario e inibire l’angiogenesi. La lattoferrina (1000 mg / kg bid x 8 giorni) ha inibito la crescita tumorale dell’80%, superiore alla inibizione intratumorale segnalata in precedenza.

Sia come monoterapia che in combinazione con cisplatino (5 mg / kg), una terapia standard per il tumore del polmone, la lattoferrina ha dato un miglioramento dose-dipendente dell’attività del cisplatino (400 mg / kg) inibendo la crescita tumorale del 90% rispetto al placebo e 83% rispetto al solo cisplatino (P <0,05).

Diversi regimi di associazione sono stati sottoposti a test per valutare i programmi di trattamento alternativo per la sperimentazione clinica. La lattoferrina rappresenta un sicuro e ben tollerato antagonista del cancro. 

Un recente articolo ha mostrato un caso in cui la lattoferrina è stata utilizzata nel trattamento del mesotelioma, un tipo di cancro al polmone associato con l’amianto. L’articolo riportava che il paziente aveva assunto semplicemente lattoferrina, vitamina C ed altri integratori riportando non solo benefici ma anche un sensibile miglioramento della patologia, soprattutto quando era aggiunta lattoferrina al programma.

Il risultato finale è stato un recupero abbastanza completo da un tipo di cancro che è estremamente aggressivo.

Lattoferrina e Covid-19

Si stanno diffondendo sempre di più notizie sulla possibile capacità della lattoferina di “prevenire” e “combattere” l’infezione da SARS-Cov-2.

Ma cosa mostrano esattamente gli studi che sono stati fatti? I più recenti sono proprio quelli dell’Università di Roma Tor Vergata e Sapienza.

Lo spunto per iniziare gli studi sulla lattoferrina è stata proprio l’osservazione che i bambini piccoli (che beneficiano ancora degli effetti dell’allattamento) non sviluppano quasi per niente l’infezione da Sars-Cov-Questo ha fatto pensare che la responsabile possa essere proprio la lattoferrina, una glicoproteina presente nel latte materno di cui sono note già da tempo le proprietà antivirali.

I primi studi in laboratorio hanno mostrato che la lattoferrina è in grado di interagire con la “spike”, glicoproteina esterna del Sars-Cov-2 impedendogli di entrare all’interno delle cellule.

Dal laboratorio si è passati alla clinica: somministrando ai pazienti affetti da Covid la forma liposomiale pura della lattoferrina si è osservato che i tempi di negativizzazione e la vitalità del virus si riducono.

Un altro importante dato osservato è che la sede di azione della lattoferrina: agisce soprattutto a livello della mucosa nasale, respiratoria e intestinale ossia le parti del nostro corpo in cui il virus si va a moltiplicare.

Quali sono i limiti degli studi fatti? Al momento la ricerca sta osservando i risultati solo su pazienti affetti da Covid quindi che hanno già contratto l’infezione e hanno la malattia in corso. Non ci sono ancora dati circa gli effetti della lattoferrina in termini di prevenzione. Inoltre il campione studiato è costituito da un numero basso pertanto tali dati devono essere confermati anche su una popolazione più ampia. Infine non si tratterebbe di una cura in quanto la lattoferrina non è in grado di uccidere il virus ma è in grado di creare un ambiente sfavorevole al virus.

Gli stessi ricercatori, affermano che, grazie a questi dati incoraggianti, il trattamento con lattoferrina può costituire un ottimo tamponamento alla situazione di emergenza in attesa del vaccino.

Controindicazioni ed effetti collaterali

Integratori di lattoferrina possono essere assunti anche per lunghi periodi senza controindicazioni particolari e anche in condizioni patologiche.

Essendo la lattoferrina un importante regolatore del ferro, particolare attenzione all’assunzione dovrebbero farla i pazienti affetti da malattie neurodegenerative (Parkinson, sclerosi multipla…) in quanto sono patologie caratterizzate da un alterato metabolismo del minerale: non ci sono, infatti, sufficienti studi che dimostrano l’efficacia o i possibili effetti collaterali di tale integrazione.

Anche i bambini la possono assumere.

Donne in gravidanza o durante l’allattamento, invece, dovrebbero evitarla in quanto non sono stati fatti studi che dimostrano che l’integrazione è priva di rischi.

Oltre alla capacità di legare il ferro, la lattoferrina è anche in grado di legare (anche se con affinità minore) altri metalli come rame e manganese. In caso quindi di assunzione di dosi elevate di lattoferrina può verificarsi carenza di tali minerali.

Al momento non sono note interferenze farmacologiche.

Integratori di lattoferrina: quale scegliere?

In commercio esistono diversi prodotti a base di lattoferrina, soprattutto di origine bovina. Gli effetti sulla salute sono gli stessi rispetto quella umana. Al momento si stanno diffondendo anche integratori che contengono una formulazione particolare di lattoferrina ossia la lattoferrina liposomiale maggiormente assimilabile e quindi caratterizzata da una maggiore disponibilità.

I dosaggi sono strettamente personalizzati soprattutto in presenza di patologie. In via preventiva si può tranquillamente assumere il dosaggio consigliato sul prodotto acquistato.

Questo articolo ha solo fine illustrativo e non sostituisce il parere del medico. Non è destinato a fornire consigli medici, diagnosi o trattamento.

Bibliografia

Letteratura aggiornata sulla lattoferrina con alcune pubblicazioni di riferimento alle proprietà
antinfettive e antivirali
12/03/20 https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/?term=Lactoferrin+ pubbl. 8558
Bibliografia

Moreno-Expósito L, et al. Life Sci 2018 – Review. PMID 29307524
Multifunctional capacity and therapeutic potential of lactoferrin
Lactoferrin (LF) is a glycoprotein with high functional versatility that is found in most body fluids.
The objective of this study was to gather and update information on the properties attributed to
LF.

Małaczewska J, et al. BMC Vet Res 2019. PMID 31488163 Free PMC article.
Antiviral effects of nisin, lysozyme, lactoferrin and their mixtures against bovine viral diarrhoea
virus.
The purpose of this study was to characterize the antiviral effect of naturally occurring proteins
and peptide, such as bovine lactoferrin, chicken egg lysozyme, and nisin from Lactococcus lactis,
used both individually and in combination, against the cytopathic NADL strain of BVDV in vitro.
effects than did the single substances.

Cheng WD, et al. Trials 2017 – Clinical Trial. PMID 29110675 Free PMC article.
Lactoferrin and lysozyme to reduce environmental enteric dysfunction and stunting in Malawian
children: study protocol for a randomized controlled trial.
METHODS/DESIGN: A prospective randomized placebo-controlled parallel-group randomized
controlled trial will be conducted to determine if a daily supplement of lactoferrin and lysozyme,
two important proteins found in breast milk, can decrease the burden of EED and stunting in rural
Malawian children aged 12-23 months old. …DISCUSSION: A rigorous clinical trial design will be
used to assess the biologically plausible use of lactoferrin and lysozyme as dietary supplements
for children at high risk for EED.

Gillum T, et al. Eur J Appl Physiol 2017. PMID 28341903
Exercise increases lactoferrin, but decreases lysozyme in salivary granulocytes.
INTRODUCTION: Intracellular lactoferrin (Lac) and lysozyme (Lys) content play an important role in
regulating inflammation and promoting host protection.

Cieslak J, et al. J Sci Food Agric 2017. PMID 27611486
Variability of lysozyme and lactoferrin bioactive protein concentrations in equine milk in relation
to LYZ and LTF gene polymorphisms and expression.
BACKGROUND: Equine milk is considered to be an interesting product for human nutrition, mainly
owing to its low allergenicity and significant amounts of bioactive proteins,
including lysozyme (LYZ) and lactoferrin (LTF).

https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/28425960/

https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/21847071/

Int J Mol Sci. 2017 Sep 15. Lactoferrin: A Natural Glycoprotein Involved in Iron and Inflammatory Homeostasis. Rosa L, Cutone A, Lepanto MS, Paesano R, Valenti P.

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VITAMINA C (2 parte)

ANZIANI PIU’ A RISCHIO DI CARENZA

La vitamina C, acido ascorbico, è un nutriente idrosolubile essenziale. 

La vitamina C è importante per il corretto funzionamento del sistema immunitario e per la sintesi di collagene nell’organismo. Il collagene rinforza i vasi sanguigni, la pelle, i muscoli e le ossa.

L’uomo non può creare collagene senza la vitamina C.

La vitamina C è essenzialmente coinvolta nella biosintesi e riparazione del collagene, la mancanza di acido ascorbico danneggia:

  • l’integrità delle membrane basali,
  • degli epiteli della mucosa,
  • dei tessuti connettivi,
  • che è la causa della devastante malattia paradontale osservata nello scorbuto. Inoltre, la vitamina è necessaria per la corretta guarigione delle ferite e lo sviluppo osseo, entrambi legati al ruolo dell’acido ascorbico nella sintesi del collagene. 
La Biosintesi del Collagene - ALIMENTAZIONE E NUTRACEUTICA
https://liborioquinto.altervista.org/la-biosintesi-del-collagene/

COLLAGENE

Struttura del collagene
Proteina fibrosa
Il collagene, una proteina fibrosa, è prodotto da diversi tipi
cellulari ma princ...

Si tratta di una proteina presente nell’uomo e negli animali ed è la struttura principale di:

  • denti
  • ossa
  • tendini
  • tessuto cartilagineo
  • tessuto connettivo (particolare tipo di tessuto che provvede al collegamento, sostegno e nutrimento dei tessuti dei vari organi.)
Collagene: definizione, proprietà, funzione e impieghi

La diminuzione di produzione di collagene inizia già a partire dai 25 anni. Il sintomo più evidente è la pelle del viso più opaca e meno compatta, ma il corpo subisceo una sorta di decadimento generale a tutti i livelli:

  • osteoporosi,
  • osteoartrite,
  • invecchiamento dei tessuti degli organi.

La perdita di collagene può essere accelerata da:

  • fattori genetici
  • alimentazione non sana, soprattutto ricca di zuccheri
  • fumo
  • esposizione a raggi solari
  • smog e condizioni ambientali
  • stress

L’IMPORTANZA DELLA VIT C

Gli effetti antiossidanti, antinfiammatori e immunomodulanti della vitamina C ne fanno un potenziale candidato terapeutico, sia per la prevenzione e il miglioramento dell’infezione da COVID-19, sia come terapia aggiuntiva nella terapia intensiva di COVID-19. 

https://www.mdpi.com/2072-6643/12/12/3760

Questa revisione della letteratura si concentra sulla carenza di vitamina C nelle infezioni respiratorie, incluso COVID-19, e sui meccanismi d’azione nelle malattie infettive, compreso il supporto della risposta allo stress, il suo ruolo nella prevenzione e nel trattamento di raffreddori e polmoniti e il suo ruolo nel trattamento della sepsi e COVID-19. 

Le prove fino ad oggi indicano che la vitamina C per via orale (2-8 g / die) può ridurre l’incidenza e la durata delle infezioni respiratorie e la vitamina C per via endovenosa (6-24 g / die) ha dimostrato di ridurre la mortalità, unità di terapia intensiva (ICU ) e degenze ospedaliere, e tempo sulla ventilazione meccanica per gravi infezioni respiratorie. Ulteriori prove sono urgentemente giustificate. Dato il profilo di sicurezza favorevole e il basso costo della vitamina C, e la frequenza della carenza di vitamina C nelle infezioni respiratorie, può essere utile testare lo stato della vitamina C dei pazienti e trattarli di conseguenza con la somministrazione endovenosa all’interno delle UTI e la somministrazione orale nelle persone ospedalizzate con COVID -19.

UNA MUTAZIONE GENETICA IMPEDISCE ALL’UOMO LA SINTESI DELLA VIT.C

(SINTESI = produrre un composto attraverso una reazione, o una serie di reazioni, di sintesi, partendo cioè sia dagli elementi sia da composti più semplici.)

Non è sintetizzato dai primati, dalla maggior parte dei pipistrelli, dalle cavie e da un piccolo numero di uccelli e pesci poiché manca l’enzima finale, gulonolattone ossidasi (GULO), necessario per la sintesi dell’acido ascorbico a causa di mutazioni geniche avvenute prima dell’evoluzione di Homo sapiens . Tutte queste specie dipendono quindi dalla vitamina C nel loro cibo. I primati dipendono da un apporto adeguato fornito da frutta e vegetazione che va da 4,5 g / giorno per i gorilla a 600 mg / giorno per scimmie più piccole (7,5 kg, un decimo della taglia umana).

Il fabbisogno medio UE di 90 mg / giorno per gli uomini e 80 mg / giorno per le donne è di mantenere un livello plasmatico normale di 50 µmol / L , che è il livello plasmatico medio negli adulti del Regno Unito.  Questo è sufficiente per prevenire lo scorbuto ma può essere inadeguato quando una persona è sottoposta a esposizione virale e stress fisiologico. 

Un gruppo di esperti in collaborazione con la Società Svizzera di Nutrizione ha raccomandato a tutti di integrare con 200 mg “per colmare il divario nutritivo per la popolazione generale e in particolare per gli adulti dai 65 anni in su. Questo integratore ha lo scopo di rafforzare il sistema immunitario ”. 

Il Linus Pauling Institute raccomanda 400 mg e anche più per gli anziani (> 50 anni)

Carenza di vitamina C in polmonite, sepsi e COVID-19

I livelli plasmatici di vitamina C nell’uomo diminuiscono rapidamente in condizioni di stress fisiologico comprese infezioni, traumi e interventi chirurgici, con conseguente evidente carenza di vitamina C nei pazienti ospedalizzati.

La malattia da carenza di vitamina C, lo scorbuto, è stata a lungo associata alla polmonite, il che ha portato a ritenere che la vitamina C possa influenzare la suscettibilità alle infezioni respiratorie . In altre parole, le persone carenti di vitamina C possono essere più suscettibili a gravi infezioni respiratorie come la polmonite.

Una meta-analisi ha indicato una riduzione del rischio di polmonite con l’integrazione orale di vitamina C, in particolare negli individui con bassi apporti dietetici.

Uno studio recente, dalla Nuova Zelanda, ha riportato che i pazienti con polmonite avevano livelli di vitamina C impoveriti rispetto ai controlli sani.

Uno studio su 21 pazienti COVID-19 in condizioni critiche ammessi in terapia intensiva negli Stati Uniti ha rilevato un livello medio di 22 µmol / L, quindi la maggioranza aveva ipovitaminosi C. Il livello medio per 11 sopravvissuti era 29 µmol / L rispetto a 15 µmol / L per i 10 non sopravvissuti; di questi cinque (50%) avevano ≤11 µmol / L [ 34 ]. 

Uno studio in una terapia intensiva a Barcellona su 18 pazienti COVID-19 che soddisfacevano i criteri della sindrome da distress respiratorio acuto (ARDS) ha rilevato che 17 avevano livelli non rilevabili di vitamina C (cioè <9 µmol / L) e un paziente aveva un basso livello di vitamina C (14 µmol / L) . 

Bassi livelli di vitamina C sono comuni nei pazienti covid

Pertanto, bassi livelli di vitamina C sono comuni nei pazienti ricoverati in condizioni critiche con infezioni respiratorie, polmonite, sepsi e COVID-19, la spiegazione più probabile è l’aumento del consumo metabolico.

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Differenze tra virus comuni e virus SARS-CoV-2

Meccanismi d’azione della vitamina C nelle infezioni, sepsi e COVID-19

La vitamina C ha importanti proprietà antinfiammatorie, immunomodulanti, antiossidanti, antitrombotiche e antivirali. La vitamina mostra un’attività virucida diretta e possiede meccanismi effettori sia nel sistema immunitario innato che in quello adattativo. Gli effetti della vitamina C sull’immunità durante l’infezione sono molteplici e comprendono lo sviluppo e la maturazione dei linfociti T ( I linfociti T vengono prodotti nel midollo osseo e sono una classe di globuli bianchi) I linfociti T identificano l’antigene e attivano la risposta immunitaria per neutralizzarlo, ossia attuano una protezione verso le infezioni a opera di microbi intracellulari come virus e alcuni batteri.

La vitamina C ha anche un ruolo vitale come antiossidante per cui i fagociti (Cellula del sistema immunitario) importano vitamina C ossidata (acido deidroascorbico) e la rigenerano in vitamina C ridotta (acido ascorbico)

La vitamina C contribuisce alla sottoregolazione delle citochine, (Le citochine hanno il compito di regolare le reazioni immunitarie) proteggendo l’endotelio (cellule che rivestono l’interno dei vasi sanguigni e linfatici e del cuore), dal danno ossidante e ha un ruolo essenziale nella riparazione dei tessuti.

PER I MEDICI

I potenziali benefici della vitamina C, il basso costo, il profilo di sicurezza e le molteplici azioni modificanti la malattia, inclusi gli effetti antiossidanti, antinfiammatori e immunomodulanti, la rendono un candidato terapeutico eccellente nella riduzione della carica virale con integrazione orale nell’intervallo di 2-8 g / giorno per aiutare ad attenuare la conversione alla fase critica di COVID-19. Allo stesso modo, la vitamina C ha potenziali benefici nel trattamento delle infezioni respiratorie acute e nella mitigazione dell’infiammazione nei pazienti COVID-19 critici con infusione endovenosa di vitamina C nell’intervallo 6-24 g / giorno, per correggere la carenza indotta dalla malattia, ridurre l’infiammazione, aumentare la produzione di interferone e sostenere le azioni antinfiammatorie dei glucocorticosteroidi, soprattutto dato l’alto livello di mortalità per i pazienti con COVID-19 grave.

Data la notevole sicurezza della vitamina C, la frequente carenza tra i pazienti con COVID-19 e le ampie prove di potenziali benefici, l’attuale trattamento è giustificato su basi compassionevoli in attesa che siano disponibili più dati di studi clinici COVID-19, non solo per uso endovenoso all’interno di unità di terapia intensiva, ma anche per via orale con dosi comprese tra 2 e 8 g / die in pazienti ricoverati a causa dell’aumentato bisogno nel combattere un’infezione virale, come concluso in recenti revisioni . La scelta clinica della vitamina C per via orale rispetto a quella endovenosa può essere guidata da criteri simili per la somministrazione di antibiotici per via orale rispetto a quelli per via endovenosa, considerando sia la gravità della malattia sia se il paziente è in grado di ingerire farmaci per via orale almeno quattro volte al giorno.

Le persone in gruppi ad alto rischio di mortalità da COVID-19 e a rischio di carenza di vitamina C, dovrebbero essere incoraggiate a integrare quotidianamente la vitamina C per garantire l’adeguatezza della vitamina C in ogni momento e per aumentare la dose quando infettati viralmente fino a 6 –8 g / giorno . 

MISURE DI PREVENZIONE

Al punto 2 – Assunzione giornaliera di VITAMINA C, al dosaggio di 1 o 2 grammi al giorno diviso in due somministrazione ai pasti. Tale vitamina stimola l’attivazione dell’immunità naturale.


Un documento prezioso datato 18 marzo 2020 n. protocollo 27/7-60 firmato dal Direttore dell’Infermeria Presidiaria Colonnello Andrea Tessarolo e dal medico competente Maggiore Giuseppe Gancitano – del 1° Reggimento Carabinieri Paracadutisti Tuscania di Livorno – ci informa che l’infermeria del Reggimento, ufficialmente in tema di prevenzione da contenimento Covid-19, con assunzione di vitamina C e D

Questo articolo ha solo fine illustrativo e non sostituisce il parere del medico. Non è destinato a fornire consigli medici, diagnosi o trattamento.

vi saluto con un pensiero:

Non temere che la vita termini con la morte, non ti illudere che il giorno finisca con il tramonto. Non esiste fine per nessuna anima che rinasce nell’alba di una nuova esistenza. Non esiste morte per il sole che risorge nel miracolo di una nuova aurora.

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Salute

Alzheimer

Prevenire l’Alzheimer

 Morbo di Alzheimer
 Nell’ Alzheimer si osserva perdita di cellule nervose nelle aree cerebrali vitali 

Mangiare a tempo limitato: un modo efficace per prevenire la demenza

I N T R O D U Z I O N E

La ricerca supporta in modo schiacciante l’idea che abbandonare l’approccio “tre pasti al giorno” a favore del mangiare a tempo limitato (noto anche come digiuno intermittente) può fare miracoli per la tua salute, poiché il tuo corpo semplicemente non può funzionare in modo ottimale quando c’è una fornitura continua di calorie in entrata. 

  • Mangiare a tempo limitato è un approccio potente che facilita la perdita di peso e aiuta a ridurre il rischio di malattie croniche come il diabete di tipo 2, malattie cardiache, cancro e malattie neurodegenerative
  • Tra i molti vantaggi del mangiare a tempo limitato vi è la sovraregolazione dell’autofagia* e della mitofagia*, processi di pulizia naturali necessari per il rinnovamento e la funzione cellulare ottimali.
  • La ricerca suggerisce fortemente che la restrizione calorica e il consumo limitato nel tempo aiutano a combattere l’Alzheimer attraverso questi percorsi di autofagia
  • I tratti distintivi della patologia dell’Alzheimer includono placche beta amiloide e grovigli di tau. Altri eventi patologici osservati frequentemente nei pazienti di Alzheimer includono deficit sinaptici, disfunzione mitocondriale, stress ossidativo e neuroinfiammazione
  • Molti di questi sono il risultato di un’autofagia insufficiente e uno dei modi più semplici per sovraregolare l’autofagia è implementare un’alimentazione limitata nel tempo

Il ciclo di banchetti (alimentazione) e carestia (digiuno) imita le abitudini alimentari dei nostri antenati e riporta il tuo corpo a uno stato più naturale che consente il verificarsi di tutta una serie di benefici biochimici.

È un approccio potente che non solo facilita la perdita di peso, ma aiuta anche a ridurre il rischio di malattie croniche come il diabete di tipo 2, malattie cardiache, cancro e Alzheimer .

Trattare le neurodegenerazioni puntando a più proteine patologiche, non solo una
Quasi tutte le principali malattie neurodegenerative – dall’Alzheimer al Parkinson – sono definite e diagnosticate dalla presenza di una delle quattro proteine ​​che sono diventate dannose: tau, beta-amiloide (Aβ), alfa-sinucleina (α-syn) o TDP-43.
PROTEINE MAL RIPIEGATE

Sebbene ci siano molte varianti, mangiare con limiti di tempo in genere comporta il non mangiare per almeno 14 ore consecutive al giorno. Tuttavia, non mangiare per 16-20 ore è probabilmente più vicino a un ideale metabolico. Ciò significa che mangi tutti i pasti della giornata in un periodo compreso tra le quattro e le otto ore.

Tra i molti vantaggi del mangiare a tempo limitato c’è la sovraregolazione dell’autofagia e della mitofagia, processi di pulizia naturali necessari per il rinnovamento e la funzione cellulare ottimali. In un documento di revisione del gennaio 2020, ricercatori spiegano come la restrizione calorica aiuti a combattere specificamente l’Alzheimer, attraverso questi percorsi di autofagia.

Alzheimer: scoperto l'anello mancante tra la proteina Tau e perdita di  memoria
proteina tau | Molecole, che passione!

Prevenire l’Alzheimer attraverso un’alimentazione a tempo limitato

Come spiegato in “Gli effetti della restrizione calorica e la sua mimetica nella malattia di Alzheimer attraverso i percorsi dell’autofagia ”  due dei tratti distintivi della patologia dell’Alzheimer sono le placche beta amiloidi e i grovigli neurofibrillari formati da aggregati di proteina tau.

“L’accumulo aberrante di queste proteine ​​mal ripiegate e aggregate si traduce in neurotossicità e l’AD è quindi riconosciuta come una proteinopatia”, afferma il documento. Altri eventi patologici frequentemente osservati nel cervello dei malati di Alzheimer includono: 

  • Deficit sinaptici e degenerazione assonale
  • Disfunzione mitocondriale
  • Omeostasi anormale del metallo
  • Lo stress ossidativo
  • Neuroinfiammazione

Molti di questi si verificano a causa di “un’eliminazione insufficiente di proteine ​​neurotossiche o di organelli intracellulari danneggiati”, osserva il documento. In altre parole, si verificano quando nel tuo corpo si verifica un’autofagia insufficiente . La buona notizia è che puoi sovraregolare l’autofagia e uno dei modi più semplici è implementare un’alimentazione a tempo limitato . Come spiegato in questa recensione: 

“L’autofagia è un meccanismo catabolico che garantisce la rimozione di proteine ​​mal ripiegate o aggregate e mantiene il turnover dei componenti citoplasmatici.

In condizioni di fame o carenza di energia, i fagofori vengono sintetizzati de novo nel citoplasma da lipidi di nuova sintesi o da organelli intracellulari con strutture di membrana, come il reticolo endoplasmatico.

I fagofori si allungano e si curvano per formare autofagosomi a doppia membrana, che poi incapsulano materiali citosolici, proteine ​​mal ripiegate o proteine ​​a lunga vita.

Dopo la fusione con i lisosomi, qualsiasi carico viene degradato dagli enzimi lisosomiali. Il processo autofagico fornisce una strategia per eliminare le proteine ​​mal ripiegate o aggregate nei disturbi proteinopatici. Il fallimento dell’autofagia porta all’accumulo di aggregati, che si traduce in neurotossicità e progressione della malattia “.

Disfunzione autofagica nei disturbi neurodegenerativi

La disfunzione dell’autofagia è stata identificata in diversi disturbi e malattie neurodegenerative e neuropsichiatriche, tra cui l’Alzheimer, il Parkinson, la sclerosi laterale amiotrofica (SLA), la malattia di Huntington, l’ictus ischemico , la schizofrenia e persino la tossicodipendenza

Quindi, si ritiene che l’attivazione dell’autofagia abbia un ruolo importante da svolgere nella prevenzione e nel trattamento di queste condizioni. È importante sottolineare che l’uso di stimolatori dell’autofagia come farmaci, terapia genica o integratori può avere effetti collaterali indesiderati in alcune persone e potrebbe non essere l’ideale.

Il consumo limitato nel tempo o la restrizione calorica, notano gli autori, è una strategia più sicura e probabilmente più efficace per la maggior parte. Quindi, in che modo la restrizione calorica o il digiuno intermittente inducono l’autofagia?

Ci sono diversi meccanismi in gioco, ma due importanti sono l’attivazione della protein chinasi attivata dal monofosfato (AMPK) e l’inibizione della via del bersaglio della rapamicina (mTOR) nei mammiferi. 

La restrizione calorica aiuta anche a migliorare l’Alzheimer e altre condizioni degenerative riducendo l’infiammazione e migliorando la sensibilità all’insulina, la funzione mitocondriale e lo stress ossidativo.

I vantaggi dell’attivazione di AMPK

Metabolismo Rappresenta il consumo energetico di un individuo

L’AMPK è un enzima essenziale per mantenere l’equilibrio energetico. Consiste di tre proteine ​​(chiamate sottounità) che insieme creano un enzima funzionale. L’AMPK è espresso in vari tessuti, inclusi il cervello, il fegato, i muscoli scheletrici e le cellule adipose, ed è essenziale per l’attivazione dell’autofagia.

A volte viene definito “interruttore principale metabolico” perché svolge un ruolo importante nella regolazione del metabolismo.  Sposta l’energia verso la riparazione e il mantenimento cellulare, aiutando così il tuo corpo a tornare all’omeostasi (equilibrio).

Un basso AMPK è stato collegato a resistenza all’insulina, disfunzione mitocondriale, obesità, neurodegenerazione e infiammazione cronica. L’attivazione di AMPK produce molti degli stessi benefici dell’esercizio fisico, della dieta e della perdita di peso, 8 tutti noti per favorire una serie di malattie croniche e cattive condizioni di salute.

L’AMPK è anche un importante neuroprotettore  , rendendolo quindi particolarmente rilevante nella prevenzione e nel trattamento dell’Alzheimer. Inoltre, AMPK stimola l’ autofagia cellulare e mitocondriale (mitofagia) e la biogenesi mitocondriale, così come altri cinque percorsi di importanza critica:

  • Insulina
  • Leptina
  • mTOR
  • Fattore di crescita insulino-simile 1 (IGF-1)
  • Co-attivatore 1-alfa del recettore attivato dal proliferatore (PGC-1α)

Vantaggi dell’inibizione di mTOR

La mTOR (acronimo di mammalian target of rapamycin,) è una protein-chinasi che fosforila serina e treonina che regola la crescita, la proliferazione, la motilità e la sopravvivenza delle cellule, la sintesi proteica e la trascrizione.

MTOR è anche un importante percorso responsabile del controllo dell’autofagia. Quando inibisci mTOR, cosa che puoi fare mangiando a tempo limitato, attivi l’autofagia. MTOR è fondamentalmente un sensore di nutrienti. Mentre l’insulina rileva principalmente l’assunzione di carboidrati, mTOR rileva principalmente le proteine.

Detto questo, anche altri nutrienti possono attivare o inibire mTOR. I nutrienti che attivano mTOR includono aminoacidi a catena ramificata, glutammina, metil folato e vitamina B12 .

I nutrienti che inibiscono mTOR includono polifenoli come curcumina, fisetina, quercetina, resveratrolo (presente nel vino) ed epigallocatechina gallato (EGCG, presente nel tè verde). Il caffè biologico e il cioccolato fondente contengono anche elevate quantità di polifenoli inibitori di mTOR.

Perché entrare e uscire dall’autofagia è così importante

Uno dei motivi per cui mangiare con limiti di tempo funziona così bene è perché stai attraversando l’autofagia su base giornaliera (al contrario di solo occasionalmente, se dovessi fare digiuni più lunghi una volta al mese o trimestralmente, ad esempio).

Non vuoi inibire mTOR e attivare sempre l’autofagia. Ci deve essere un equilibrio tra la rottura e la ricostruzione.

Quando mangi, la tua insulina sale, mTOR viene attivato e l’autofagia viene inibita, consentendo così la ricostruzione e la crescita cellulare. Quindi, quando si digiuna, l’insulina scende, l’mTOR viene inibito e l’autofagia viene attivata, consentendo così la scomposizione e l’eliminazione dei componenti cellulari disfunzionali. La prossima volta che mangi, il ciclo di ricostruzione ricomincia e così via.

  • Quando mangi continuamente, l’autofagia sarà gravemente inibita.

 Di conseguenza, il danno continua ad accumularsi poiché le cellule danneggiate non possono essere eliminate e rigenerate in modo efficiente. Molti cambiamenti ormonali si verificano anche durante il digiuno, compreso l’ormone della crescita.

Le opinioni su quanto tempo si dovrebbe digiunare ogni giorno variano. Come regola generale, l’intervallo consigliato è compreso tra 12 e 18 ore di digiuno ogni giorno. Sono dell’opinione che da 16 a 18 ore di digiuno potrebbero essere il punto debole, poiché ciò consente al tuo corpo di esaurire maggiormente le riserve di glicogeno nel fegato e sopprimere mTOR e attivare meglio l’autofagia.

L’alimentazione a tempo limitato migliora la funzione cerebrale

Come notato in “Gli effetti della restrizione calorica e la sua mimetica nella malattia di Alzheimer attraverso i percorsi dell’autofagia”, una serie di studi sugli animali hanno dimostrato che mangiare a tempo limitato aiuta a prevenire la perdita di memoria e migliorare la cognizione. Gli autori affermano, in parte: 

“[Il digiuno intermittente] è stato segnalato per ottimizzare la funzione cerebrale e aumentare la resistenza neuronale a lesioni e malattie … Miglioramenti comportamentali nei topi AD che sono sottoposti a IF potrebbero verificarsi a causa degli effetti dell’IF sul bilanciamento dell’eccitabilità ippocampale.

Inoltre, l’IF previene la perdita di memoria nei ratti ovariectomizzati infusi con beta amiloide nelle regioni dell’ippocampo … il digiuno a breve termine (24 o 48 ore) è stato in grado di migliorare l’autofagia neuronale nei topi 5xFAD, che è un modello di AD grave … “

E’ il caso per mangiare di meno, punto

Sia gli studi sugli animali che quelli sull’uomo suggeriscono anche che le persone con un basso apporto calorico hanno un rischio ridotto di Alzheimer rispetto a chi segue una dieta ipercalorica. 

In uno studio su animali, gli animali la cui dieta era del 30% in meno di calorie rispetto al normale hanno ripristinato le prestazioni della memoria dopo 10 mesi. È stato anche dimostrato che le diete ipercaloriche provocano un fallimento autofagico nell’ippocampo. 

Gli studi sugli animali hanno ulteriormente dimostrato che le diete ipocaloriche riducono la quantità di beta amiloide e tau nel cervello, mentre le diete ipercaloriche le aumentano. 

La bella caratteristica del mangiare a tempo limitato è che sembra replicare la maggior parte dei benefici metabolici della restrizione calorica senza effettivamente limitare le calorie. Inoltre, poiché è una finestra di alimentazione così limitata e l’appetito di una persona è ridotto, in genere finiscono per mangiare meno calorie comunque senza alcuna sensazione di privazione.

Mimetica della restrizione calorica

“Gli effetti della restrizione calorica e la sua mimetica nella malattia di Alzheimer attraverso i percorsi dell’autofagia” affronta anche l’uso di mimetici di restrizione calorica, composti che imitano gli effetti della restrizione calorica. Il mimetico più studiato e riconosciuto è il resveratrolo , un polifenolo che si trova nella buccia dell’uva e in alcuni frutti di bosco, inclusi mirtilli e mirtilli rossi. Secondo gli autori: 14

“Diversi studi hanno rivelato la potenziale efficacia dell’integrazione di resveratrolo per la prevenzione e il trattamento dell’AD. Ad esempio, il trattamento con resveratrolo previene la neurotossicità nelle cellule in coltura esposte alla beta amiloide.

Inoltre, in un modello di roditore di AD, il resveratrolo ha alleviato i deficit di memoria, ha mantenuto l’integrità della barriera emato-encefalica, ha migliorato il carico di placca, nella patologia tau abituale e ha soppresso l’attivazione della microglia …

Gli effetti anti-amiloidogenici e neuroprotettivi del resveratrolo nell’AD sembrano essere fortemente associati a una maggiore attività autofagica. Il resveratrolo attiva l’autofagia dipendente da SIRT1, che contribuisce ad attenuare la neurotossicità causata dalla beta amiloide. Inoltre, il resveratrolo reprime la segnalazione mTOR e induce l’autofagia attivando la via di segnalazione AMPK “.

Altre linee guida per la prevenzione dell’Alzheimer

Oltre a mangiare a tempo limitato, ci sono molte altre strategie che aiuteranno a prevenire (e in alcuni casi, curare) l’Alzheimer. Ecco una carrellata di quelli che credo siano alcuni dei più importanti:

Evita i grassi trans e gli oli vegetali lavorati industrialmente – Mentre le diete ricche di grassi sani e antiossidanti possono fare molto per scongiurare la demenza, le diete ricche di grassi trans e oli omega-6 trasformati lo promuoveranno. La ricerca  pubblicata nel numero di ottobre 2019 di Neurology ha trovato un forte legame tra il consumo di grassi trans e l’incidenza della demenza e dei suoi vari sottotipi, incluso l’Alzheimer. I peggiori colpevoli della dieta erano pasticcini, margarina, caramelle, caramelle, croissant, creme non casearie, gelati e cracker di riso. 16 Allo stesso modo, l’ossidato omega-6 grassi presenti negli oli vegetali trasformati può causare un danno significativo al cervello se consumato in eccesso.
Evita lo zucchero e il fruttosio raffinato – Idealmente, ti consigliamo di mantenere i livelli di zucchero al minimo e il fruttosio totale al di sotto di 25 grammi al giorno, o di soli 15 grammi al giorno se soffri di insulino-resistenza o disturbi correlati.
Aumentare il consumo di grassi sani, inclusi gli omega-3 a base marina – I grassi benefici che promuovono la salute di cui il tuo cervello ha bisogno per una funzione ottimale includono olio di cocco, burro biologico da latte crudo, burro chiarificato, burro crudo nutrito con erba, olive, olio di oliva vergine biologico, noci come noci pecan e macadamia, uova ruspanti, salmone selvatico dell’Alaska e avocado.  Assicurati anche di assumere abbastanza grassi omega-3 di origine animale da piccoli pesci grassi come acciughe e sardine, o prendi un integratore a base di fosfolipidi come l’olio di krill. Un elevato apporto di grassi omega-3 EPA e DHA aiuta a prevenire il danno cellulare causato dalla malattia di Alzheimer, rallentandone così la progressione e riducendo il rischio di sviluppare il disturbo.
Evita il glutine e la caseina (principalmente grano e latticini pastorizzati, ma non i grassi dei latticini, come il burro): la ricerca mostra che la barriera emato-encefalica è influenzata negativamente dal glutine. 17Il glutine rende anche il tuo intestino più permeabile, il che consente alle proteine ​​di entrare nel flusso sanguigno, a cui non appartengono. Ciò quindi sensibilizza il tuo sistema immunitario e promuove l’infiammazione e l’autoimmunità, che svolgono entrambi un ruolo nello sviluppo dell’Alzheimer.
Ottimizza la tua flora intestinale mangiando regolarmente cibi fermentati o assumendo un integratore probiotico ad alta potenza e di alta qualità.
Migliora il tuo livello di magnesio – Il treonato di magnesio sembra promettente per supportare la cognizione e può essere superiore ad altre forme. Per saperne di più, vedere ” Benefici cognitivi del magnesio L-treonato “.
Ottimizza i tuoi livelli di vitamina D con un’esposizione al sole sicura – I ricercatori ritengono che livelli ottimali di vitamina D possano aumentare la quantità di importanti sostanze chimiche nel cervello e proteggere le cellule cerebrali aumentando l’efficacia delle cellule gliali nell’assistenza ai neuroni danneggiati. La vitamina D può anche esercitare alcuni dei suoi effetti benefici sull’Alzheimer attraverso le sue proprietà antinfiammatorie e immunostimolanti. Una quantità sufficiente di vitamina D è fondamentale per il corretto funzionamento del sistema immunitario per combattere l’infiammazione che è anche associata all’Alzheimer. Per ulteriori informazioni, vedere ” Collegamento tra carenza di vitamina D e demenza confermata “.
Evita ed elimina il mercurio dal tuo corpo: le otturazioni in amalgama dentale, che contengono il 50% di mercurio in peso, sono una delle principali fonti di tossicità da metalli pesanti. Tuttavia, dovresti essere in buona salute prima di rimuoverli. Una volta che ti sei abituato a seguire la dieta descritta nel mio piano nutrizionale ottimizzato , puoi seguire il protocollo di disintossicazione da mercurio e poi trovare un dentista biologico per rimuovere le tue amalgame. Evita anche le vaccinazioni antinfluenzali poiché la maggior parte contiene mercurio, noto anche come thimerosal, un noto agente neurotossico e immunotossico.
Evita ed elimina l’alluminio dal tuo corpo – Le fonti di alluminio includono antitraspiranti, pentole antiaderenti e coadiuvanti del vaccino . Per una guida alla disintossicazione, vedere ” I tre pilastri della disintossicazione da metalli pesanti “.
Fare esercizio regolarmente – È stato suggerito che l’esercizio fisico possa innescare un cambiamento nel modo in cui la proteina precursore dell’amiloide viene metabolizzata, 18 rallentando così l’insorgenza e la progressione dell’Alzheimer. L’esercizio aumenta anche i livelli della proteina PGC-1alfa. La ricerca ha dimostrato che le persone con Alzheimer hanno meno PGC-1alfa nel cervello e le cellule che contengono più proteine ​​producono meno proteine ​​amiloidi tossiche associate all’Alzheimer.
Evita gli anticolinergici e le statine – Come spiegato in dettaglio in “I comuni farmaci da banco possono causare demenza “, i farmaci che bloccano l’acetilcolina, un neurotrasmettitore del sistema nervoso, hanno dimostrato di aumentare il rischio di demenza. Questi farmaci includono alcuni analgesici notturni, antistaminici, sonniferi, alcuni antidepressivi, farmaci per controllare l’incontinenza e alcuni analgesici narcotici. Anche le statine sono problematiche in quanto sopprimono la sintesi del colesterolo, esauriscono il cervello del coenzima Q10 e dei precursori dei neurotrasmettitori e impediscono il rilascio adeguato di acidi grassi essenziali e antiossidanti liposolubili al cervello inibendo la produzione della biomolecola portatrice indispensabile nota come lipoproteine ​​a bassa densità.

https://articles.mercola.com/sites/articles/archive/2020/03/12/time-restricted-eating-autophagy-alzheimers.aspx

https://italiano.mercola.com/esperienza-professionale.aspx

Analisi del Dr. Joseph Mercola Medico osteopata, autore in cima alle classifiche e pluripremiato nel campo della medicina naturale, il suo obiettivo è quello di cambiare il paradigma moderno della salute, fornendo alle persone valide risorse che possano aiutarle a prendere il controllo sulla propria salute.

Autore affermato e pioniere nel campo della medicina naturale

Qualifiche

  • Università dell’Illinois a Chicago – UIC 1972-1976
  • Chicago College of Osteopathic Medicine (Scuola di medicina osteopatica di Chicago) – Midwestern University 1978-1982
  • Chicago Ostepathic Hospital (Ospedale osteopatico di Chicago), 1982-1985 Medico di famiglia. Dirigente 1984-1985
  • Abilitato presso l’American College Osteopathic General Practitioners, luglio 1985
  • Medico chirurgo abilitato presso lo Stato dell’Illinois

12 marzo 2020

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Salute

VITAMINA D – COVID parte 3

ALCUNI STUDI PUBBLICATI

Vitamina D e risultati polmonari nei pazienti anziani COVID-19

https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/33668240/ 24 febbraio 2021

1Laboratorio di Reumatologia Sperimentale e Divisione Accademica di Reumatologia Clinica, Dipartimento di Medicina Interna, Università di Genova, Policlinico IRCCS San Martino, 16132 Genova, Italia.

2Unità di Pneumologia, Policlinico IRCCS San Martino, 16132 Genova, Italia.

3Unità di Endocrinologia, Dipartimento di Medicina Interna, Università di Genova, Policlinico IRCCS San Martino, 16132 Genova, Italia.

4Dipartimento di Reumatologia, Ospedale universitario di Ghent, Dipartimento di medicina interna, Centro di ricerca sull’infiammazione VIB Università di Ghent, 9000 Ghent, Belgio.7

La regolazione della funzione immunitaria continua ad essere una delle azioni extrascheletriche più riconosciute della vitamina D.

Questo studio conferma che la carenza della vitamina D è associata a un coinvolgimento polmonare più grave, a una maggiore durata della malattia e al rischio di morte, nei pazienti anziani COVID-19. 

Il rilevamento di bassi livelli di vitamina D anche nei pazienti più giovani con COVID-19 con minori comorbidità suggerisce ulteriormente la carenza di vitamina D come fattore di rischio cruciale a qualsiasi età.

Questa è una sintesi di uno studio recentissimo sulla vitamina D pubblicata  sul motore di ricerca PubMed di letteratura scientifica biomedica internazionale dove sono pubblicati migliaia di studi sulla VITAMINA D

PUBBLICAZIONI PUBMED VIT.D

89.451 sotto la voce vitamin d

28.192 sotto la voce cholecalciferol

12.657 sotto la voce vitamin d supplementation

289 sotto la voce (vitamin d covid) AND LitCTREATMENT[filter]

491 sotto la voce vitamin d covid

https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/32904944/ 15 settembre 2020. 

https://europepmc.org/article/med/32904944#jbm410405-bib-0331

Vitamina D e regolazione immunitaria: antibatterico, antivirale, antinfiammatorio 

1 Institute of Immunology and Immunotherapy, University of Birmingham, Birmingham UK,

2 Dipartimento di Fisiologia, Università McGill, Montreal Quebec, Canada,

3 Metabolism and Systems Research, Università di Birmingham, Birmingham, Regno Unito,

4 Dipartimento di Medicina, Università McGill, Montreal Quebec, Canada,

Conclusioni finali dello studio

Esistono prove evidenti che gli enzimi metabolici della vitamina D sono espressi praticamente in tutte le cellule dei bracci innati e adattivi del sistema immunitario.

 Considerando i risultati discussi sopra, la segnalazione della vitamina D sembra influenzare la suscettibilità e la gravità dell’infezione batterica e virale attraverso diversi meccanismi. Questi includono i suoi effetti diretti sulla produzione di peptidi antimicrobici e citochine, nonché la sua regolazione della via NF ‐ κB durante l’infezione. Nel complesso, i dati preclinici e clinici propongono un forte legame tra lo stato della vitamina D e la suscettibilità alle malattie infettive e autoimmuni. 

Ci sono prove che la carenza di vitamina D durante i primi anni di vita può predisporre il sistema immunitario a un maggior rischio di malattie autoimmuni o allergie. 

Diversi studi clinici e di laboratorio hanno fornito supporto per un ruolo della vitamina D nella lotta alle infezioni del tratto respiratorio. 

La valutazione della supplementazione di vitamina D come intervento terapeutico adiuvante potrebbe essere clinicamente ed economicamente significativa nella crisi COVID-19 in corso, così come nel trattamento di altre malattie infettive. Sulla base delle proprietà immunoregolatorie della vitamina D presentate sopra, il miglioramento dei livelli circolanti di 25D può rallentare la progressione della malattia o addirittura migliorare la sopravvivenza del paziente.

Il ruolo della vitamina D nella prevenzione dell’infezione e della mortalità della malattia da coronavirus

La carenza di vitamina D è un grave problema di salute pubblica in tutto il mondo in tutti i gruppi di età ma lo stato di vitamina D peggiora con l’età, oltre i 70 anni di vita, a causa della ridotta esposizione al sole e della sintesi cutanea . È povero nelle persone istituzionalizzate, il 75% di loro è gravemente carente di vitamina D (siero 25 (OH) D <25 nmol / L)

Il COVID-19 è causato, oltre che dalla virulenza del virus, dal rilascio di citochine pro-infiammatorie. È stato scoperto che la vitamina D modula la risposta dei macrofagi, impedendo loro di rilasciare troppe citochine infiammatorie e chemochine . Ciu et al. hanno scoperto che il calcitriolo (1,25-diidrossivitamina D3) esercitava un impatto pronunciato sull’asse ACE2 con una maggiore espressione della generazione di ACE2.

ACE2 è la «porta» d’accesso per il virus, ma anche un possibile «alleato»

Le evidenze della relazione tra vitamina D e rischio e gravità di Covid-19  - Network Bibliotecario Sanitario Toscano

FIGURA. 2 – Il ruolo della vitamina D riguardo all’ACE in risposta a SARS-CoV-2. ACE: conversione dell’angiotensina enzima.

L’ ACE2 è l’enzima di conversione dell’angiotensina 2, uno degli ormoni coinvolti nei meccanismi di regolazione della pressione sanguigna. Nel caso di Covid-19, ACE2 ha però anche un altro ruolo. È la «porta» che il virus utilizza per entrare nelle cellule. Si sa dai tempi della Sars, infatti, che i coronavirus sfruttano questi recettori per farsi strada nell’organismo. Questo enzima non si trova soltanto nell’epitelio polmonare: ma anche a livello cardiaco, nell’intestino, nei reni e nei vasi sanguigni.

Esistono delle prove epidemiologiche e cliniche che dimostrano che la vitamina D può ridurre le lesioni polmonari attraverso diversi meccanismi, tra cui l’induzione dei peptidi antimicrobici, la riduzione delle concentrazioni di citochine pro-infiammatorie e l’aumento delle citochine antinfiammatorie 

Le evidenze della relazione tra vitamina D e rischio e gravità di Covid-19

La carenza di vitamina D coesiste nei pazienti con COVID-19.
Per ciò che risulta in questo momento, il colore della pelle scura, l’aumento dell’età, la presenza di malattie preesistenti e la carenza di vitamina D sono caratteristiche della grave malattia COVID. Di questi, solo la carenza di vitamina D è modificabile.

All’interno dei polmoni, la proteina ACE2 ha una maggiore espressione nella superficie apicale delle cellule epiteliali alveolari profonde. Questo recettore è espresso in più organi umani. Aiuta la trasmissione da uomo a uomo e tra specie diverse del virus ( Andersen et al., 2020 ; Hussain et al., 2020a). ACE2 è una zinco-metallopeptidasi che è un antagonista dell’enzima di conversione dell’angiotensina (ACE). ACE converte l’angiotensina (Ang) I in Ang II, un vasocostrittore, rimuovendo un dipeptide dal suo C-terminale. Inoltre, l’ACE è un distruttore della bradichinina che è un vasodilatatore.

Vitamin D can prevent COVID-19 infection-induced multiple organ damage |  SpringerLink

Attraverso le sue interazioni con una moltitudine di cellule, la vitamina D può avere diversi modi per ridurre il rischio di infezioni acute del tratto respiratorio e di COVID-19:

  • ridurre la sopravvivenza e la replicazione dei virus,
  • ridurre il rischio di produzione di citochine infiammatorie,
  • aumentare le concentrazioni dell’enzima di conversione dell’angiotensina 2
  • mantenimento dell’integrità endoteliale.

Quattordici studi osservazionali offrono la prova che le concentrazioni sieriche di 25-idrossivitamina D sono inversamente correlate con l’incidenza o la gravità del COVID-19.

Pertanto, le prove sembrano abbastanza forti per cui le persone e i medici possono utilizzare o raccomandare integratori di vitamina D per prevenire o trattare COVID-19 alla luce della loro sicurezza e dell’ampia finestra terapeutica.

Da mesi gli studiosi stanno esaminando Covid-19. Scienziati e ricercatori dei cinque continenti sono all’opera per trovare terapie e vaccini per il coronavirus che sta contagiando il pianeta.

Popolazione anziana e patologie croniche ai tempi del Covid-19

Anche i ricercatori dell’Università di Cagliari – con la dicitura “RICERCA BY UniCa” sono impegnati in una sfida epocale per l’umanità. Un percorso che si snoda tra sperimentazioni, metodiche, ricerche su scala internazionale con una puntuale e verificata divulgazione della conoscenza scientifica.

Attivazione polmonare della vitamina D3 ed effetto preventivo contro la polmonite interstiziale.

  • Marianna Boi, ricercatrice del Dipartimento di Scienze Biomediche dell’università di Cagliari, evidenzia uno studio giapponese pubblicato in National Center for Biotechnology Information

(https://www.unica.it/unica/it/ricerca_apdm_biomedicina.page)

L’attuale infezione data dal Coronavirus è stata messa in relazione anche alla carenza di vitamina D, certo non è così facile da riscontrare una carenza così marcata nei paesi occidentali ma la carenza di vitamina D è maggiormente diffusa nella popolazione anziana. Studi preliminari hanno rilevato che tra i pazienti ricoverati per l’infezione scatenata dal coronavirus c’è un’elevata prevalenza di ipovitaminosi D. Inoltre è nota l’importanza di adeguati livelli plasmatici di Vitamina D nella prevenzione di “numerose patologie croniche.

Di seguito questo lavoro mostra come, sperimentalmente nei topi, e in una linea sperimentale di fibroblasti polmonari, un corretto apporto dietetico di vitamina D3 può avere un effetto preventivo contro la polmonite interstiziale.

Nelle cellule Hpfc (Human pulmonary fibroblast cell lines)la vitamina D3 ha soppresso l’espressione indotta dalla bleomicina delle citochine infiammatorie e dei marcatori di fibrosi.

Nei topi, i sintomi della fibrosi polmonare indotta dalla bleomicina sono migliorati e l’espressione dei marcatori di fibrosi e degli induttori della fibrosi è stata ridotta da una dieta ricca di vitamina D3.

La vitamina D3 viene attivata localmente nei tessuti polmonari, il che suggerisce che un elevato apporto dietetico di vitamina D3 può avere un effetto preventivo contro la polmonite interstiziale.

Vitamina D e COVID-19: prove e raccomandazioni per l’integrazione

La vitamina D è un ormone che agisce su molti geni espressi dalle cellule immunitarie. Le prove che collegano la carenza di vitamina D alla gravità del COVID-19 sono circostanziali ma considerevoli: collegamenti con l’etnia, l’obesità, l’istituzionalizzazione; latitudine ed esposizione ai raggi ultravioletti; aumento del danno polmonare nei modelli sperimentali; associazioni con la gravità del COVID-19 nei pazienti ospedalizzati. La carenza di vitamina D è comune ma facilmente prevenibile con un’integrazione molto sicura ed economica.

 Le persone ricoverate in ospedale con COVID-19 dovrebbero avere il loro stato di vitamina D controllato e / o integrato.

link: https://link.springer.com/article/10.1007/s40520-020-01570-8

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC7813231/

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC7461279/

Questo articolo ha solo fine illustrativo e non sostituisce il parere del medico. Non è destinato a fornire consigli medici, diagnosi o trattamento.

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VITAMINA D – parte 2

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L’esposizione alla luce solare avvia la formazione di vitamina D 3 

L’esposizione alla luce solare avvia la formazione di vitamina D 3 nella pelle poiché la:

  • radiazione UV B nello spettro solare (290-315 nm,) provoca la
  • fotoconversione del 7-deidrocolesterolo (è uno sterolo che funziona, nel plasma , come precursore del colesterolo)
  • per poi essere convertito in colecalciferolo nella pelle, 
  • a previtamina D3. 

Un’isomerizzazione indotta dal calore converte quindi la previtamina D 3 

  • in vitamina D 3 in un periodo di giorni. ( Isomero – stesso numero di atomi di ciascun elemento, ma disposizioni distinte di atomi nello spazio.)
UVA E UVB

RAGGI ULTRAVIOLETTI:

UVA – UVB

La luce ultravioletta proveniente dal sole è disponibile in due lunghezze d’onda principali – UVA e UVB. È importante capire la differenza tra queste ed i fattori di rischio che ognuna comporta.

Prima ci sono le UVB, onde salutari che aiutano la pelle a produrre vitamina D, poi ci sono le UVA, che sono generalmente considerate poco salubri perché possono penetrare più profondamente la pelle e causare più danni da radicali liberi. Non solo, i raggi UVA sono praticamente costanti durante tutte le ore di luce del giorno, per l’intero anno, diversamente da quelli UVB che sono scarsi al mattino ed alla sera ed abbondanti a mezzogiorno.

Risultato immagini per FREQUENZA LUNGHEZZA onda

Gli ultravioletti vengono classificati in base agli effetti biologici delle diverse lunghezze d’onda.
UV-A (400-315 nm), 
UV-B (315-280 nm),
UV-C (280-100 nm).

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L’intensità di queste radiazioni è espressa con l’indice UV, indice universale della radiazione UV solare, riportata anche nelle previsioni meteorologiche.

L’esposizione occasionale alla luce solare di faccia e mani è insufficiente per la produzione di vitamina D nella maggior parte delle persone.

Per ottimizzarne i livelli occorre esporre al sole larghe porzioni di pelle e non solo per qualche minuto. E contrariamente alla credenza popolare, il momento migliore per essere al sole per la produzione di vitamina D è vicino a mezzogiorno.

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Per utilizzare la luce solare per massimizzare la produzione di vitamina D e minimizzare il rischio di danno alla pelle il periodo migliore e più sicuro è la parte centrale della giornata (approssimativamente tra le 10 e le 12). Durante questo periodo di intensa emanazione UVB necessiterà solo una breve esposizione per produrre la maggior parte della vitamina D.

Per quanto riguarda i tempi di esposizione, è sufficiente che il colore della pelle viri verso una leggera sfumatura di rosa. Può trattarsi di soli pochi minuti per le persone con la pelle molto chiara.

Una volta che avete raggiunto questo punto il corpo non produce più vitamina D ed ogni altra esposizione al sole sarà dannosa per la pelle.

La maggior parte delle persone con la pelle chiara ed i capelli biondi massimizza la produzione di vitamina D in 10-20 minuti. Qualcuno necessita di minor tempo, altri di un tempo maggiore.

Più è scura la pelle, maggiore deve essere il tempo di esposizione per ottimizzare la produzione di vitamina D.

La latitudine e la stagione

La latitudine e la stagione influenzano sia la quantità che la qualità della radiazione solare che raggiunge la superficie terrestre, specialmente nella regione UVB dello spettro. 

È stato sviluppato un modello per valutare l’effetto dei cambiamenti stagionali e latitudinali sul potenziale della luce solare per avviare la produzione cutanea di vitamina D 3 . Pelle umana o [3 α –3 H] Il 7-deidrocolesterolo esposto alla luce solare nei giorni senza nuvole a Boston (42,2 ° N) da novembre a febbraio non ha prodotto previtamina D 3 . 

A Edmonton (52 ° N) nel periodo invernale ottobre a marzo, non ha prodotto previtamina D 3 . 

Più a sud (34 ° N e 18 ° N), la luce solare ha fotoconvertito efficacemente il 7-deidrocolesterolo in previtamina D 3 in pieno inverno. 

SOPRA I 35° DI LATITUDINE

E’ importante ricordare che se vivete al di sopra dei 35 gradi di latitudine, (Lampedusa – Malta sono a 35°) non è possibile produrre vitamina D attraverso l’esposizione al sole da novembre fino a marzo a prescindere dalla durata dell’esposizione.

INTEGRAZIONE DI VIT. D

Questi risultati quantificano la drammatica influenza dei cambiamenti nella radiazione solare UVB sulla sintesi cutanea di vitamina D 3 e indicano che con l’aumento della latitudine e la durata dell inverno avviene una CARENZA di vitamina D, durante il quale può essere consigliabile un’integrazione alimentare della vitamina.

Altri fattori influenzano la radiazione

  •  I vestiti neri escludono il 100% di UV ‐
  • Il vetro e la plastica escludono anche il 100% di UV ‐ B  
  • L’uso del fattore di protezione solare 8 esclude il 95%. 

In studi condotti a Boston (42 ° N) Holick e collaboratori hanno dimostrato l’importanza della latitudine, della stagione e dell’ora del giorno di esposizione alla luce solare. La massima produzione di vitamina D 3è stata osservata intorno a mezzogiorno in luglio, con una produzione in calo in primavera e in autunno e nessuna produzione tra il 1 ° novembre e il 15 marzo. Nei paesi intorno all’equatore, la produzione è costante durante tutto l’anno.

TROVA LA LATITUDINE

Per determinare la latitudine in cui vi trovate, potete usare un GPS.Google Earth ha una funzione che mostra la latitudine.

Tratto da https://www.nonsolobenessere.it/raggi-ultravioletti-significato-cosa-sono-e-quali-danni-possono-causare.html

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VITAMINA D

NON SERVE SOLO ALLE OSSA


I RECETTORI DELLA VITAMINA D SI TROVANO NEL NUCLEO DI OGNI CELLULA

Un impressionante numero di ricerche scientifiche dimostra che la vitamina D svolge un ruolo fondamentale nella prevenzione delle malattie e nel mantenere la salute ottimale. La vitamina D contrasta l’osteoporosi, fratture, malattie cardiovascolari, alcuni tipi di cancro, malattie autoimmuni, malattie infettive, diabete mellito di tipo 2, disturbi neurocognitivi e dell’umore.

Migliaia di geni vengono attivati dal suo recettore VDR

UN PO DI STORIA

La storia della vitamina D non può prescindere dalla storia del  rachitismo.

Le prime osservazioni del rachitismo risalgono al I-II secolo d.C., con descrizioni di bambini romani con deformità ossee che venivano attribuite a generiche carenze alimentari e igieniche.

È però con la Rivoluzione Industriale che i casi di rachitismo si moltiplicarono; la popolazione principalmente agricola si era infatti trasferita nelle città ed era costretta a vivere in vicoli stretti e bui, con un’atmosfera inquinata dal fumo industriale.

In questo periodo, in Paesi scarsamente esposti alla luce solare, il rachitismo si manifestò in proporzioni epidemiche, arrivando a colpire fino al 90% dei bambini delle classi povere nelle città industrializzate dell’Europa e del Nord America.

Alla fine del XVIII secolo alcuni medici avevano rilevato l’effetto benefico sulla malattia dell’olio di fegato di merluzzo, ma tale indicazione terapeutica aveva sollevato molte perplessità.

Nello stesso periodo venne ipotizzata anche un’associazione tra ridotta esposizione solare e rachitismo.

La struttura della vitamina D venne identificata nel 1930 da Adolf Windaus ipotizzando che questa venisse naturalmente prodotta dalla cute; gli studi sulla vitamina D gli valsero il premio Nobel per la chimica.

VDR recettore di Luce in oltre 30 tessuti e organi nell’organismo umano.

La vera svolta si è avuta nel 1969 grazie alla scoperta del recettore nucleare della vitamina D (VDR), che ha fatto definitivamente entrare la vitamina D nella famiglia degli ormoni e contemporaneamente ha avviato due decenni di ricerche che descrivono collettivamente l’ampia sfera di influenza di questo ormone/vitamina grazie alla presenza del VDR in oltre 30 tessuti e organi nell’organismo umano.

Si è dovuto però attendere sino agli anni 70 con Kodicek (1974) e De Luca e Schnoes (1976) per comprendere i meccanismi di attivazione metabolica della Vit.D. Attualmente Michael F. Holick è un endocrinologo americano , specializzato ed esperto mondiale nel campo della vitamina D,  è stato il primo a identificare la principale forma circolante di vitamina D nel sangue umano come 25-idrossivitamina D3. Ha quindi isolato e identificato la forma attiva della vitamina D come 1,25-diidrossivitamina D3. 

Ha determinato il meccanismo di sintesi della vitamina D nella pelle, ha dimostrato gli effetti dell’invecchiamento, dell’obesità, della latitudine, dei cambiamenti stagionali, dell’uso di creme solari, della pigmentazione della pelle e dei vestiti su questo processo cutaneo vitale.

Tantissimi altri studi, ricerche e pubblicazioni sono stati fatti sulla vitamina D, 141.721 risultati appaiono solamente su Pubmed https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/?term=vitamin+d

Tessuti che esprimono il recettore della vit d. (VDR)

  • Adiposo
  • Polmone
  • Prostata
  • Adrenergico
  • Linfociti B e T
  • Retina
  • Osseo e osteoblasti Muscolo cardiaco
  • Cute
    Cervello (in generale)
  • Muscolo liscio
  • Stomaco
    Cervello (amigdala)
  • Cervello (ipotalamo)
  • Cervello (glia)
    Mammella
  • Muscolo embrionale
  • Follicolo pilifero
    Cartilagine
  • Ovaio
  • Testicolo
    Colon
  • Cellule pancreatiche
  • Timo
    Epididimo,
  • tubuli seminiferi
  • Paratiroide
  • Tiroide
    Intestino
  • Parotide
  • Utero
    Rene
  • Ipofisi
  • Tonsille
    Fegato
  • Placenta
  • Sacco vitellino

PRO-ORMONE IMMUNOREGOLATORE

Se pensi alla D ti viene in mente l’osso, il calcio, l’osteoporosi. Anche, certo, ma nessuno ti dice che la vitamina D è la CHIAVE DI LUCE di apertura della porta della IMMUNITA’.

La vitamina D è da sempre conosciuta come vitamina anti-rachitismo, ma è la punta dell’iceberg che è nota alla gente. Negli ultimi anni, invece, è stato scoperto il suo enorme POTERE CURATIVO di ORMONE IMMUNOREGOLATORE cioè è un  potente regolatore del sistema immunitario.

QUELLO CHE NON SAPPIAMO SULLA VITAMINA D

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QUELLO CHE NON SAPPIAMO SULLA VITAMINA D

Quello che non sappiamo è che la sua carenza è correlata a tanti problemi di salute a cominciare da: 17 tipi di cancro, malattie cardiovascolari, diabete, obesità, ipertensione, sindrome metabolica, malattie neuropsicologiche, dolori neuromuscolari, malattie infettive, malattie autoimmuni e altro.

La carenza di vitamina D è un grave problema diffuso a livello mondiale

Diminuita bio-disponibilità


A. Malassorbimento di grassi

  • Fibrosi cistica
  • Malattia celiaca
  • Morbo di Whipple
  • Morbo di Crohn
  • Intervento di by- pass gastro-intestinale
  • Farmaci che riducono l’assorbimento di grassi
  • Altro
    B. Ridotta disponibilità
  • Obesità con sequestro della vitamina D nel
    tessuto adiposo
    Aumentato catabolismo / consumo
  • Anticonvulsivi
  • Glucocorticoidi
  • Farmaci per il trattamento dell’AIDS o anti-rigetto.
  • Allattamento e gravidanza
    Diminuita sintesi di 25(OH)D (somministrare anche
    calcidiolo)
  • Grave insufficienza epatica
    Perdite urinarie di 25(OH)D
  • Sindrome nefrosica
    Diminuita sintesi di 1,25(OH)2D (somministrare
    anche calcitriolo)
  • Insufficienza renale cronica
  • Iperfosforemia
  • Deficit congeniti di 1-idrossilasi

Fattori che determinano la carenza di vitamina D

(Informazioni dalla Società Italiana di Medicina Generale)

Una carenza di vitamina D può verificarsi quando l’assunzione dietetica
a abituale è scarsa, l’esposizione alla luce solare è limitata, i reni non possono convertire la 25-idrossivitamina D nella sua forma attiva o l’assorbimento della vitamina D da parte del tratto digestivo è insufficiente. Diete carenti di vitamina D sono associate ad allergia al latte, intolleranza al lattosio, vegetarianismo e veganismo.
Alcuni gruppi di popolazione adulta sono particolarmente a rischio
di un inadeguato apporto di vitamina D.

I RAGGI DEL SOLE SULLA PELLE PRODUCONO LA VIT D

(solo la radiazione di 290-320 nanometri)


La radiazione ultravioletta UVB con una lunghezza d’onda di 290- 320 nanometri penetra la pelle scoperta e converte il 7-deidrocolesterolo cutaneo in previtamina D3, che a sua volta diventa vitamina D3 (colecalciferolo). La stagione, l’ora del giorno, la copertura nuvolosa, la presenza di smog, il contenuto di melanina della pelle e l’uso di creme solari sono tra i fattori che influenzano l’esposizione alle radiazioni UV e la sintesi della vitamina D.

Una copertura nuvolosa completa riduce l’energia UV del 50%; l’ombra (compresa quella prodotta da un grave inquinamento) la riduce del 60%. I raggi UVB non penetrano il vetro, per cui l’esposizione al sole attraverso una finestra non determina la produzione di vitamina D.

Le creme solari con fattore di protezione solare (SPF) di 8 o più sembrano bloccare i raggi UV che producono vitamina D. I fattori che influenzano l’esposizione alle radiazioni UV e le ricerche condotte finora sulla quantità di esposizione al sole necessaria per mantenere adeguati livelli di vitamina D rendono difficile fornire linee guida generali.

MECCANISMO D’AZIONE E DOVE AGISCE LA VIT. D


Una volta attivata a 1,25(OH)2 D, la vitamina D si lega ad uno specifico recettore (VDR) che appartiene alla superfamiglia dei recettori per gli steroidi. In realtà sono stati identificati due tipi di recettori per la vitamina D. Il primo, localizzato nel nucleo, è in grado di stimolare direttamente la trascrizione di geni e quindi la sintesi ex-novo di proteine (meccanismo genomico). L’altro recettore è localizzato sulla membrana cellulare e agisce inducendo la formazione di secondi messaggeri cellulari (come il cAMP, il diacilglicerolo, l’inositolo trifosfato, l’acido arachidonico) o fosforilando alcune proteine cellulari. Tale meccanismo d’azione non genomico è in grado di modulare in maniera rapida la risposta cellulare a vari stimoli (12).
I recettori per la vitamina D sono praticamente ubiquitari, a riprova del loro importante ruolo fisiologico, non solo nel metabolismo minerale ma anche in numerose altre funzioni dell’organismo.

La vitamina D agisce nella maggior parte dei tessuti e delle cellule del corpo, inclusi cuore, stomaco, pancreas, cervello, pelle, gonadi e linfociti T e B attivati, agisce li dove si trovano i recettori VDR (ovvero per la vitamina D). Pertanto, non sorprende affatto che la vitamina D abbia una moltitudine di effetti biologici di natura non calcemica.

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COVID-19: la vitamina D potrebbe cooperare con l’interferone nella risposta antivirale

ISS 22 luglio 2020 (Istituto Superiore Di Sanita’)

– Adeguati livelli di vitamina D al momento dell’infezione con Sars-CoV-2 potrebbero favorire l’azione protettiva dell’interferone di tipo I – uno dei più potenti mediatori della risposta antivirale dell’organismo – e rafforzare l’immunità antivirale innata.

E’ questa l’ipotesi proposta da Maria Cristina Gauzzi e Laura Fantuzzi del Centro Nazionale per la Salute Globale dell’ISS nella lettera pubblicata questo mese sull’American Journal of Physiology – Endocrinology and Metabolism

“La nostra ipotesi – spiega Maria Cristina Gauzzi – si basa su dati della letteratura che dimostrano come la vitamina D, oltre ad avere un effetto antivirale diretto nei confronti di alcuni virus, possa cooperare con l’interferone di tipo I per potenziare le risposte antivirali”.

Questo fenomeno – si osserva nella lettera – è stato descritto nell’infezione con il virus dell’epatite C e con rinovirus. Inoltre, evidenze a supporto di un effetto additivo della vitamina D e dell’interferone di tipo I nell’induzione di geni ad attività antivirale provengono anche da studi condotti in pazienti affetti da sclerosi multipla.

“Nelle fasi più avanzate del COVID-19 l’attività immunomodulatoria della vitamina D potrebbe invece contribuire a ridurre il danno legato all’iperinfiammazione nei pazienti con forme severe di malattia. L’interazione tra vitamina D e interferone di tipo I – concludono le due ricercatrici – è ancora poco studiata ma potrebbe rivelarsi di grande importanza, anche in considerazione del fatto che dati recenti della letteratura indicano che le complicanze dell’infezione da SARS-CoV-2 possono essere conseguenti ad una produzione insufficiente o ritardata di interferone nella primissima fase dell’infezione”.

Trattamento della carenza e insufficienza di vitamina D

L’obbiettivo della terapia della carenza e dell’insufficienza di vitamina D è quello di ripristinare normali livelli sierici e quindi dei depositi di 25(OH)D, in tempi brevi. La dose cumulativa da somministrare nel giro di alcune settimane può variare in funzione della gravità della carenza e della massa corporea. Il valore di 25(OH)D rilevato al momento dell’identificazione dello stato carenziale o di insufficienza può essere
ritenuto un buon indicatore del fabbisogno.

A questa dose deve seguire una dose di mantenimento, per evitare di ritornare nelle condizioni di insufficienza o carenza.

Gli schemi posologici raccomandati devono tener conto di potenziali interferenze di altri farmaci o condizioni morbose.
La posologia della vitamina D da consigliare può quindi anche variare a seconda della condizione clinica trattata e degli obiettivi terapeutici che ci si prefiggono.

Risultato immagini per schema posologia vit d

Tratto da: Linee guida su prevenzione e trattamento dell’ipovitaminosi D con colecalciferolo

S. Adami, E. Romagnoli , V. Carnevale, A. Scillitani, A. Giusti, M.Rossini, D. Gatti1, R. Nuti, S. Minisola
Unità di Reumatologia, Dipartimento di Medicina, Università di Verona;
Dipartimento di Medicina, Università La Sapienza, Roma;
Unità di Endocrinologia, Ospedale S. Giovanni Rotondo, Foggia;
Ospedale Galliera, Genova, Italia;
Dipartimento di Medicina, Università degli Studi di Siena

https://www.iss.it/coronavirus/-/asset_publisher/1SRKHcCJJQ7E/content/covid-19-la-vitamina-d-potrebbe-cooperare-con-l-interferone-nella-risposta-antivirale

https://pdfs.semanticscholar.org/9919/3e00ab8cec13bcc72176bee4e4aedfda134d.pdf?_ga=2.59586280.479007670.1613582388-1443916013.1611818743

Questo articolo ha solo fine illustrativo e non sostituisce il parere del medico. Non è destinato a fornire consigli medici, diagnosi o trattamento.

CONSIGLIO: controllate il vostro livello di vitamina D